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La Patria. Geografia dell'Italia
Provincia di Milano
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1894, pagine 547

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   /l'JO
   l'arte Seconda — Alta Italia
   intenzione d'assediare Monza e punirla della sua infedeltà; ma una piena del Lambro, impedendogli per molti giorni il passo delle sue truppe, ormai stremate e stanche di quella ingloriosa lor corsa per l'Italia, dovette rinunciare all'impresa e voltare su Pavia, di dove partissi per tentar un altro assedio su Milano; ma sprovvisto di mezzi ed avvisato (lei crescenti malumori in Germania, si accomodò per danaro con Azzone, e con armi e bagagli se ne ritornò al di là delle Alpi, lasciando nella storia nostra un'orma più che altro antipatica.
   Colla partenza di Lodovico il Bavaro e la riconciliazione avvenuta tra Azzone Visconti e papa Giovanni XXII, in seguito alla quale fu tolto l'interdetto sulle città lombarde che avevano parteggiato pei Visconti, si può dire stabilmente consolidata la fortuna di questa famiglia in Lombardia.
   Azzone, grato della fedeltà serbatagli da Monza in momenti difficili per lui ed i suoi, favorì la città di nuovi privilegi, fece alzare e riattare 111 molte parti le mura, che dalle precedenti vicende guerresche erano state assai danneggiate; fece pure opere di abbellimento e di fortificazioni nel castello, delle cui orribili prigioni, i forni, si servì per chiudervi, il 26 novembre 1333, i ribelli Giovanni de' Grassi signore di Cantù, Ramengo da Casale, Ottorino Borro, Lodovico Crivello, Bellino da Pietrasanta, accusati, se non convinti, nei giudizi sommari che allora facevansi sopra un sol sospetto o qualche insidiosa occulta denunzia, di aver favoreggiato la venuta del re Giovanni di Boemia, pretendente all'Impero, e che perciò s'era messo in animo di conquistare, la Lombardia.
   D'allora in poi le carceri del castello di Monza divennero le prigioni di Stato dei Visconti e rigurgitarono di infelici sotto la crudele tirannìa di Bernabò, sotto l'abile politica di Gian Galeazzo e sotto quella cupida e sospettosa di Filippo Maria. Servì inoltre il castello di Monza al compimento di quelle tragedie domestiche che accompagnarono l'ultimo periodo della signoria viscontea. Quivi, secondo narra il Cono, morì misteriosamente Caterina Visconti, vedova di Gian Galeazzo, del quale essa aveva avuto, nel I3S0, in feudo la signoria di Monza.
   « Dopo ai 15 d'ottobre — narrò il Corio — l'illustrissima duchessa, mogliera del < già defunto duca, un giovedì alle due bore di notte, come soffocata per le acerbe et « continue molestie, et anco essendogli dato il tossico, nel predetto castello morì > (1404). Fu ospite dei forni di Monza Estorre Visconti, cugino al duca di Milano Giovanni Maria, che per sospetto ve lo fece rinchiudere nel 1405 e vi rimase fino al giorno S di agosto 1407, quando cioè i Ghibellini monzesi ribellatisi a tanta crudeltà, lo proclamarono signore della città e lo liberarono.
   Qualche anno dopo alcuni nobili milanesi, stanchi delle infamie che — impunemente e col disonore di molte famiglie — andava commettendo il duca Giovanni Maria — lo pugnalarono sul limitare della chiesa di San Gottardo (1412). — Estorre Visconti, aspirante alla sovranità di Milano ed accampandovi diritti, mosse con alcuni suoi partigiani a quella città per farsene proclamare signore. La cosa gli riuscì infatti sulle prime; ma sopraggiunto il secondogenito di Gian Galeazzo, Filippo Maria, che in Pavia s'era già proclamato duca, con molte forze e molti palpitanti, Estorre Visconti si vide abbandonato dai suoi fautori e costretto a rifugiarsi più che in fretta a Monza, ove eransi pure ricoverati alcuni dei nobili che avevano preso parte alla congiura per l'uccisione di Giovanni Maria. Il nuovo duca, col pretesto di vendicare la morte del fratello, ma più verosimilmente per togliersi dallo Stato chi, per amore di libertà o per odio alla sua famiglia, avrebbe potuto rinnovare il giuoco con lui, fece uccidere quanti in Milano avevano più o meno preso parte a quella congiura. Poi mandò armati a Monza per prendervi, insieme ad Estorre, gli altri quivi rifugiati. Non potendo la città resistere ad un assedio, Estorre e gli altri si rinchiusero nel castello ove si accinsero ad un'ostinata resistenza, volendo vendere cara la loro vita, poiché sapevano che cedendo