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La Patria. Geografia dell'Italia
Provincie di Como e Sondrio
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1896, pagine 516

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   Mandamenti e Comuni del Circondario di .Sondrio
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   altri abbia ricercato sulle desinenze e sulle radicali delle voci dialettali traccio della lingua di quel glorioso (per la sua civiltà, intendiamoci) antico popolo italico. Senza perderci in queste indagini, ormai approdanti a risultati poco positivi, ci basti notare di passata, che liti nel periodo romano erano conosciute per la loro efficacia terapeutica le acque minerali, che or hanno tanta parte nella fortuna economica della plaga bonniese.
   La vita storica di Bormio appare ben definita nel periodo della dominazione franca in cui questa località, sul confine italiano, a guardia d'uno degli antichi valichi alpini, fu eretta a dignità di contado e data in governo ad un conte, l'orse responsabile del passo davanti all'imperatore. Dei conti di Bormio non pervenne alcun nome tino a noi; ma l'essere questa terra in antichissimi documenti designata col titolo di contado, lascia supporre che il dominio feudale abbia avuto una certa continuità e vi abbia lasciato il residuo di una lunga tradizione.
   Tra il secolo IX ed il X, atVennantesi poi nel secolo XI, comincia l'ingerenza dei vescovi di Como nelle cose di Valtellina, esercitanti diritti feudali sui contadi di Cliia-veima e di Bormio in particolar modo; ma durante la lunga contesa tra la Chiesa e l'Impero per i diritti d'investitila, Arrigo IV sottrae Bormio alla giurisdizione del vescovo di Conio, e per esser ben sicuro di quel passo delle Alpi, investe del contado di Bormio i conti di Metsch, signori della contigua valle, ed i Venosta, signori del territorio superiore a Bormio; ma quel dominio, Malamente diviso e quasi in comune, è causa di discordie, di litigi e finalmente di vere battaglie fra i due feudatari. II popolo di Bormio, fra i due contendenti, riesce a destreggiarsi in modo da rivendicare ed assicurarsi la propria indipendenza, negando perfino qualunque soggezione e gabella a Como, che, nel 1193, per punire quella ribellione, manda armati a devastarne il paese. Le ostilità tra Bormio e Como durano parecchi anni finche, nel 1201 alli 6 di aprile, non fu concluso un trattato di pace, in virtù del quale Bormio, in luogo del fodro regio, si assoggettava a pagare a Como, nel giorno di Sant'Andrea, 50 imperiali; di venire tre volte all'anno a Irosivio a ricevervi giustizia dal podestà o dai consoli di Como; distruggere la Serra di-i Bagni e dare in mano di Como la, Serra di Serravalle. I patti sono perii Comune di Bormio assai gravosi; ma non per questo quei fieri alpigiani si mostrano domati: poco osservano la convenzione e quando, nel 12:20, interviene la pace tra Conio ed il conte Artnico Venosta, nel trattato il Comune di Como si obbliga a difendere quel feudatario contro ogni attacco dei Bor-miesi: prova che costoro non istavano quieti. Documenti del 1252 attestano che Bormio pagava ancora a Como un tributo di 100 lire imperiali nuove, pari in effettivo alle 50 antiche. Ma la lotta dalla quale Como è lungamente travagliata entro le sue proprie mura e le contese con Milano, le tolgono la possibilità di vegliare severamente su quei ribelli alpigiani del Bormiese, onde questi consolidano le loro libertà comunali, che non sono momentaneamente conculcate se non da Corrado Venosta, capo dei Guelfi e potentissimo in tutta l'alta Valtellina. Morto costui, Bormio rivendica la propria libertà e si pone sotto la protezione dell'arcivescovo di Coirà, già vantante diritti sulla Valtellina per privilegi datanti dal tempo di Corrado il Salico.
   I Visconti però, sedutisi signori in Milano e in gran parte della Lombardia, non tengono gran conto di questo protettorato e s'impadroniscono anche del contado di Bormio, il quale, non contento dei nuovi signori, presto insorge; quindi un periodo di guerre e devastazioni, finché Giovanni Cane, condottiero delle truppe di Gian Galeazzo, non riesce, nel 1376, a far riconoscere ai Bonniesi il nuovo duca e ad imporre loro un tributo annuo di 300 fiorini d'oro. Miglior profitto trassero i Bormiesi dal governo di Filippo Maria Visconti che, fra gli altri privilegi loro concessi, aggiunse le franchigie sul commercio d'importazione e di transito: privilegi e franchigie riconfermati ed accresciute da Francesco Sforza (1450-61) e da Bianca Maria (1466), nonché da Ludovico il Moro. 11 commercio di transito con Milano durò fino al 1487; fu poscia