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La Patria. Geografia dell'Italia
Sicilia
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1893, pagine 684

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   Parte Quinta — Italia Insulare
   Per quanto grande l'esagerazione di cotesti numeri, cerio è che i Normanni combatterono da eroi entusiasmati dall'eloquenza di Ruggero prima della battaglia. Ma la vittoria non fu decisiva. I Saraceni continuarono a formicolare intorno alla fortezza normanna di Troina. ove, durante un rigido inverno, Ruggero e la sua giovine moglie Giuditta dì Evreux — ch'egli aveva amato in Normandia e ch'era venuta a disposarlo fra lo strepito delle battaglie — non avevano che un manto per proteggersi ambedue dal freddo frizzante in quelle alture.
   I Normanni però, dal primo all'ultimo nulla rimisero della loro energia, perdu-ranza e coraggio eroico. Un'altra vittoria in primavera contro i loro assalitori li inanimì a spingere le loro armi sino al fiume Imera (Salso) ed olire il Simeto, mentre una sconfitta di cinquantamila Saraceni per soli quattrocento Normanni a Cerami schiuse finalmente a questi ultimi la via di Palermo.
   Narrano i cronisti che in questa battaglia di Cerami fu visto San Giorgio combattere a cavallo alla testa di quel pugno di cristiani normanni.
   La presa di Palermo costò ai Normanni altri otto anni, parte dei quali fu spesa, secondo la loro tattica nazionale, in ispediziom predaci, parte nella sottomissione di Catania e altri distretti e parte nel blocco della capitale per mare e per terra.
   Dopo la caduta di Palermo non rimaneva a Ruggero che sottomettere al suo dominio città isolate come Taormina, Siracusa, Girgenti e Castrogiovanni,
   Quest'ultimo — il baluardo più forte e munito dei Saraceni •— cadde nelle sue mani nel 10S0 per tradimento di Ibn-Hamud. L'ultima a sottomettersi fu Noto (1091), e di tal guisa, dopo trent'anni di sforzi incessanti, i due fratelli, Roberto e Ruggero, poterono dividersi alfine la Sicilia fra di loro.
   La parte del leone toccò, com'era giusto, a Ruggero, il quale prese il titolo di Gran Conte di Sicilia e di Calabria. Nel 1098 Urbano II — politico della scuola di Gluny, che ben comprendeva le mire di Ildebrando di sottomettere l'Europa alla Corte di Roma — ricompensò Ruggero pel suo zelo al servìzio della Chiesa col titolo di Legato Apostolico Ereditario.
   II Gran Conte divenne l'uguale dei monarchi più potenti d'Europa, ch'ei si lasciò tutti addietro per ricchezza, sì ch'ei potè dare una delle sue figliuole in moglie al re di Ungheria, un'altra a Corrado, re d'Italia ed una terza a Raimondo, conte di Provenza e di Tolosa, dotandole largamente.
   Ei visse vegeto e robusto sino a 70 anni e morì nel 1101 lasciando due figliuoli dalla terza moglie Adelaide. Ruggero — il più giovane, destinato a succedere al padre e (alla morte del cugino Guglielmo, duca d'Apulia, nel 1127) ad unire l'Italia meridionale e la Sicilia sotto un solo scettro — non aveva che quattro anni alla morte del Gran Conte.
   Erede di tutto il valore e delle eminenti doti intellettuali della sua stirpe, ei poggiò ancora più in alto de'suoi predecessori. Nel 1130 assunse il titolo di Re di Sicilia, col fine politico, non ha dubbio, d'imporne a'suoi sudditi mussulmani; e nove anni dopo, quando fece prigione papa Innocenzo a San Germano, lo costrinse a confermargli codesto titolo ed a dargli nell'istesso tempo 1 investitura dell'Apulia, della Calabria e di Capua.
   L'estensione del suo dominio è ricordata in quel verso scolpito sulla sua spada:
   Appulus et Calaber Siculus mihi servii et Afer.
   Re Ruggero morì nel 1154 trasmettendo il suo regno al figlio Guglielmo, soprannominato il Malvagio, il quale lo lasciò alla sua volta, nel 1166, ad un altro Guglielmo,
   detto il Buono.
   Il secondo Guglielmo morì nel 1189 legando per testamento i suoi possedimenti a Gostanza, moglie dell'imperatore svevo