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Là sofferse per la naturale paura della passione, per l'orrore dei peccati che si era addossato, per la previsione della scarsa corrispondenza umana. Il turbamento della siia volontà e sensibilità umana fu sì grande che gli uscì un sudore di sangue il quale cadeva a gocce sulla terra (Le. 22, 44).
Nell'orto di Getsèmani vennero a catturarlo i capi dei sacerdoti guidati da Giuda, il quale lo indicò loro con un bacio. Gesù diede ancora una prova della sua divinità facendo stramazzare gli sgherri con una semplice parola (Giov. 18). Poi si lasciò prendere e legare.
Il processo di Gesù fu duplice: uno dinanzi l'autorità religiosa-civile dei Giudei, l'altro dinanzi l'autorità romana.
Gesù fu condotto prima dinanzi ad Anna, suocero di Caifa (Giov. 18, v. 13). Anna era suo feroce nemico. Anna godette di contemplarlo in catene. Frattanto si adunava nella casa di Caifa, Sommo Sacerdote, il tribunale religioso-civile della nazione (Sinèdrio). Si erano raccolti dei falsi testi per accusarlo. L'accusa era d'indole religiosa. Si imputava a Gesù di aver mancato nel suo insegnamento contro la legge Mosaica. Ma i testimoni non andarono d'accordo. Allora Caifa interrogò Gesù direttamente : « Ti scongiuro per il Dio vivente : sei tu il Figlio di Dio ? ». Gesù rispose : « Lo sono ». Caifa levò grida di scandalo come per una bestemmia (1). Tutti gli fecero eco sentenziando: «È reo di morte » (Mt. 26, 57-67).
Ma il Sinedrio non poteva condannare a morte. Tal potere era riservato al governatore^ romano, Ponzio Pilato. In attesa di ricorrere a lui, Caifa lasciò Gesù in balìa degli sgherri che se ne fecero gioco barbaramente. Sul far del giorno il Sinedrio si radunò ancora per confermare la sentenza, che pronunciata di notte sarebbe stata invalida (Mt. 27). Poi Gesù fu condotto a Pilato. I Farisei non vollero entrare nella casa del governatore pagano per non contaminarsi, dovendo il domani celebrare la pasqua. Il governatore si affacciò a sentire le loro accuse che da religiose erano diventate politiche : « Quest'uomo ci dice di non pagare il tributo all'imperatore romano. Dice che è il Cristo, Re d'Israele. Solleva a ribellione tutto il popolo dalla Galilea fin qua » (Le. 23, 2).
Pilato capì che le accuse erano false. Colse a volo la parola « Galilea ».
(1) Attribuirsi falsamente la divinità era bestemmia, e contravveniva al dogma fondamentale della religione ebraica, il monoteismo. Il peccato di bestemmia, secondo la legge di Mosè, era punito con la morte.