Sulla storia de' mali venerei di Domenico Thiene
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concludendo che il dispotismo di Avicenna abbia danneggiato ìa medicina, quanto quello di Aristotile la filosofia (5p).
Io sarei piuttosto d' avviso, che i miglioramenti risentiti dalla medicina Italiana, che pur fu la prima a risorgere dietro alle invasioni de'Saraceni e alle crociate, dovessero attribuirsi alla importazione, o per meglio dire alla maggior diffusione delle malattie contagiose già indigene de' paesi orientali, come il vajuolo, i morbilli, la peste, la petecchiale, la lebbra, o le affezioni risultanti dall'impuro concubito. Siffatte malattie, comunque non sieno nuove all' Europa, è però innegabile, che vi divennero e più generali, e più stabili ; e che per conseguenza attirandosi la maggiore attenzione de' medici, e de' governi medesimi, esercitarono tutte le molle dello spiritò e del cuore umano.
Quando, giusta Matteo Farisio, nell' XI secolo si contavano sino a diciannovemiìa ospedali (56) pei lebbrosi nella sola Europa; quando quasi tutti gli scrittori di medicina, di diritto canonico e civile trattano di professo su questa malattia; quando le pie confraternite dei divoti, le quali si consacravano all'assistenza dei lebbrosi, preslandovisi e come infermieri, e come bassi chirurghi, furono dapprima arricchite colle donazioni, e coi regali degl' infermi , e poscia innalzate dai Sovrani alla dignità di ordini equestri : si comprende quanta importanza si desse generalmente alle affezioni lebbrose. Si, caro collega, i Giovanniti non furono che infermieri
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