Sulla storia de' mali venerei di Domenico Thiene
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succedono ascessi, ed ulcere putride colanti marcia, e tabe : nei contorni pustole larghe un palmo, rosseggianti di acori, che aperti con ago, o con medicamenti colano una pituita tenue, sierosa, marciosa, saniosa, e mucosa, che in taluni è acre e corrosiva ; la carne, cbe circonda il punto ventosa-to, corrosa e putrescente tramanda quell'orrendo fetore, che è proprio delle ulcere fagedeniche. E sorprendente, che di molte coppette applicate, cioè dieci dal più al meno, una o al più due sole passavano in quella guasta suppurazione. In alcuni la pelle era deturpata da pustole sulla faccia , sulle sopracciglia, sul fronte in guisa di renderli spaventevoli : il dorso, il petto, 1' addomine, i piedi, e tutto il corpo dal sommo all' imo coperto dì scabbia porriginosa, di ulcere crostacee rilevate un poco al di sopra la cute, grandi quanto la moneta di due crociati, ovvero quanto 1' unghia del pollice, aventi la superficie bianca, ed il contorno rossastro simile alla tigna. Anche da queste colava un liquore pingue, una mucilagine lenta, che sembrava più una sanie acre, che una marcia ; anzi guarita la scabbia rimasero delle macchie fosche differenti da quelle della impetigine, o vitiligine, di color piombino ed oscuro. In progresso di malattia sul capo si formavano dei calli, che scoppiati, od incisi con estremo dolore e lamento stillavano un liquido mellito, resinoso e viscido, pari a quello che stilla dagli arbori coniferi, cioè lento, tenace, proprio della pituita suppurata. A tali ascessi sordidi e veramente
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