Storia della medicina in Roma di Giuseppe Pinto
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gliendo l'acqua sotto tutte le forme ed in varie proporzioni, sia fisiche, sia chimiche, per quanto lo permettesse il cieco empirismo d'allora.
Però appositi magistrati erano a sì delicato officio eletti, e tutti hanno parlato a sazietà degli Aquilegi o collettori di acque semplicemente potabili, o fornite di virtù medicamentosa. Vedremo in altro argomento come tutte le acque minerali allora conosciute, fossero conservate dagli Etruschi e adoperate in ogni genere di malattie. Oltre a ciò gli Etruschi ebbero a cuore il bonificamento delle paludi. Il Delta del Po fra Cornacchie e Venezia pieno di paludi mortifere fu per loro, secondo Plinio 0), modificato. Egualmente la valle di Chiana e la vai d'Arno sì lungo tempo infette da malaria furono nella gloriosa epoca etnisca sede di fioride e popolose città. Infine sembra che la prima miglioria della Palude Pontina fosse iniziata e condotta a termine dagli Etruschi, quale opera fu invano poi tentata più volte dagli ardimentosi Cesari.
Il Romano col suo naturale buon senso accettò e fece sue lecostumanze mediche dei Marsi e degli Etruschi, adoperandole,
a seconda dei casi, con le incantagioni dei Marsi e le forinolemagiche predilette tanto da Catone, e con la cura idroterapica,
allora metodo più comune di curare i morbi. Notisi che nonsolo nella rozza èra dei Catoni e dei Fannii furono in voga le
incantagioni, ma anco Varrone il dottissimo che toccò il secolod'Augusto (quando erano già note le grandi opere d'Ippocrate,
Erofilo, Erasistrato) riferisce essere stata adoperata dagli affettida artrite una certa cantilena, che ripetevasi nove volte pe-
istando i piedi coir idea di guarire completamente. Una tale superstizione non manca però di essere derisa dall'istesso* Varrone.
VI. Ma la storia ha tramandato a noi qualche cosa di più serio, relativamente alle cognizioni mediche e anatomiche degli Etruschi. Cicerone dice come « crebriits et stndiosius immola-
(1) Plinio — Lib. ni, 5.
(2) Cicer. — De divinationc; Lib. i, 90. Parigi, Ledere, 1825.
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