Storia della medicina in Roma di Giuseppe Pinto
GS
famiglie che i triumviri monetali in corto qual mo lo tramandarono ai posteri, incidendo nelle monete i Numi protettori e geniali con le insegne mitiche, ed alcuni fatti speciali che avevano rese celebri le famiglie stesse.
Ma per non dilungarmi dall'argomento di quest'opera, mi basta soltanto di sottoporre alle considerazioni del lettore quelle monete sulle quali sono effigiati emblemi che testificano il culto dell'arte medica in Roma nella divinitą di Esculapio e di Igča, corrispondente alla Salas dei Latini.
II. Sceverando il mito dalla storia č fuor di dubbio che 'Esculapio, il Nume della medicina, non fosse altro che un sommo medico, divinizzato dai Greci e secondo Diodoro Siculo 0) « ingenio et « vigore mentis excellens, scientiae medicae graviter incubuerit, « multaque hominibus ad valetudinem salutaria invenerit, eoqne « gloria processerą, ut cum multos desperate aegrotantes non « sine miraculo sanaret, multos etiam ab inferis in vitam restituere existimaretur ».
Dicendolo figlio di Apolline e di Ariadne, o di Coronide secondo altri, soggiunge come: « ni ulti s a patre in medicina per-' « ceptis, chirurgiam, et medelarum compositionem, radicum ipsam « virtutem invenit. Adeo autem artem medicinae extulit ut velut « ejus inventor et auctor veneraretur ». Il buon Diodoro con savio discernimento mette a dirittura tra le favole quanto fu detto di meraviglioso e sopranaturale di quel sommo medico e deride la leggenda che narra essere stato Esculapio fulminato da Giove ad istanza di Plutone « fabulis proditum est ». Altrove Diodoro parlando dell'Egizia Iside definisce per favolette greche « graecas « fabellas » tutte le meraviglie di lei riferite.
Cicerone (2) narra che l'Esculapio adorato dagli Arcadi fu l'inventore dello specillo ed il primo a proporre un metodo di cura per sanare le ferite « specillimi invenisse, primusque vulnus obligavisse ». L'illustre Arpinate parla anche di un Esculapio figlio
(1) Diodoro Siculo Bibliotliecae Ilistoriae ; Lib. ģv e v.
(2) Cicero De Natura Dea rum ; ni, 21.
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