Storia della medicina in Roma di Giuseppe Pinto
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In voce il Borghesi nel giornale arcadico Nov. 1825, pag. 228, cosi spiega il primo verso: « C. Claudius. A. F. C. N. Pulcher » console neiranno 602.
L'ufiìcio suddetto fu conferito agli Edili dopo il latto più volte narrato da Livio (*) di due matrone romane, Publicia e Licinia, che avvelenarono i loro mariti consolari; e portata la causa innanzi al Pretore furono messe a morte, per decreto dei loro congiunti. Ciò avvenne innanzi Fanno 001, ovvero innanzi che tali questioni fossero riconosciute d'ordine pubblico, « antequam « quaestiones publicae constituerentur. » Ed è a supporsi come facilmente, dopo il fatto delle matrone avvelenatrici, sia stata istituita la carica di giudice dei veneficii. Infatti è di poco posteriore a tale avvelenamento la data della lapide surriferita. Sul processo di queste leggi vedi Cicerone « prò Ilege Dejotaro. » *
Il buon Plauto nella Cistellaria dice:
»
.....pracstigiator forte aut vcnelicusHanc cxcantat tibi familiam.
S\etonio narrando del sospetto che Germanico, il vendicatore di Quintilio Varo, fosse morto di veleno, cita la massima comune a' suoi tempi, riferita anche da Plinio (3), che il cuore dei cardiaci e dei morti da veleno non potesse bruciarsi « negati!r « cremari posse cor in iis qui cardiaco morbo obierint, negatur « et veneno interemptis. » Lo stesso Plinio dice che non solo la necroscopia si usava per iscoprire le traccie indelebili del veleno, ma che si avevano per segno di venefìcio i lividori cosparsi per tutto il corpo, la spuma che Univa dalla bocca, ecc., e narra d'un caso in cui tra le ossa bruciate trovossi il cuore incorrotto, perchè tinctum ceneno. Ciò prova che le leggi si impadronivano di tutti i eriterii, ed esaminavano tutti i fenomeni fisici,
(1) Livio — Lil>. vili, xl, xlviii.
(2) Svktonio — Vita di Caligola.
(3) Plinio — xi. 187.
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