Storia della medicina in Roma di Giuseppe Pinto
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Dove vedesi come il poeta parlando di un albero venefico del monte Elicona, accenna al fenomeno di quel famoso Upas di Giava che uccide, secondo alcuni, chiunque abbia la disgrazia di addormirsi al funesto suo rezzo. Meno qualche eccezione, alberi nocivi non hanno, la Dio mercè, mai abbondato nell' Italia nostra.
L'amico degli Scipioni, il poeta Ennio t->, tra gli alberi boschivi di grosso fusto più comuni presso noi, nominava il busso, il cipresso, il pino, la querce, l'elee, il frassino e l'abete,
.....longeique cupresseiStant recteis folieis, et amaro corpore buxum, Capitibus nutanteis pinus, rectosque cupressos
«kIncidunt, arbusta praealta securibus caedunt Percellunt magnas quercus, excciditur ilex Fraxinus frangitur, atque abies constanter alta Pinus proceras pervortunt: omne sanabat Arbustum fremiti! sylvae frondosai,
parlando dell'utilità e di alcune evidenti qualità fìsiche di dette piante, come ad esempio delle foglie rette elei cipressi, dell'amaritudine del busso, della grandezza della quercia, della poca fortezza del frassino, della sublimità del pino, e di altre qualità speciali agli arbusti.
E tanta era l'importanza data dai Romani a queste piante arboree indigene, che come tutte le altre cose attinenti alla privata e pubblica igiene, le avevano sacrate al vecchio Nume Silvano cui davasi l'epiteto di Salutare (2)
silvano' salvtaril. manilivs satvrninvs ex viso posvit.
(1) Ennio — Fragmenta; Lib. vi.
(2) Hagenbucuii — Inscript. Latin. vet. Coli
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