Storia della medicina in Roma di Giuseppe Pinto
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La quercia era reputata diletta a Giove, il mirto a Venere, l'alloro a Febo, il pino a Cibele, il pioppo a Ercole, il fruttifero olivo a Minerva. Ciò attesta Fedro I1) in una delle sue famose favole,
Quercus Iovi Et myrtus Veneri placuit, Phoebo laurus, Pinus Cybelae, populus eelsa Herculi
e soggiunge che il padre degli Dei avendo interrogato la sapiente Minerva, quale albero scegliesse per sè, quella rispose preferire l'olivo per esserle più gradito stante l'utilità del frutto; onde Giove la chiamò meritamente sapiente, perchè se è inutile quello che si vuol fare, ogni gloria è stoltezza « nisi utile est « quod facimus, stulta est gloria ».
Ovidio (2) parla del platano e del noce, asserendo come il primo fosse sterile di frutta, ma offerente ombra salutare; mentre il secondo lo pone tra i fruttiferi, lodandone la lussuria della larga chioma.
At postquam platanis, sterilenti praebentibus umbram, Uherior quaevis arbore, venit lionos;
Nos quoque fructiferae (si nux modo ponor in illis) Coepimur in patulas luxuriare comas.
Talvolta gli aruspici dalla lunga osservazione degli alberi e delle piante, segnalarono alcuni prodigi, o soprannaturali meraviglie. Così eglino riferirono di alcuni alberi apparsi di repente sopra la terra, ovvero in luogo diverso dalle sterminate selve ; e ritennero indizio di vittoria il nascere spontaneo di un lauro in una nave, di una palma nel tempio, e il nuovo germogliare di piante già disseccate per inclemenza di stagione.
La cura dei boschi era, secondo Seneca (3), tenuta con massima cura dagli agricoltori, sia per proprio interesse, sia per su-
fi) Fedro — Lib. in, favola 17.
(2) Ovidio — Nux. Elegia.
(3) Seneca — De clementia; xi, 7.
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