Storia della medicina in Roma di Giuseppe Pinto
È pure molto notevole quella riferita da Valerio Massimo i1), ove si racconta di un ricco campagnuolo chiamato Valesio che avendo gravemente infermi desistesse morbo due suoi figli spediti dai medici che avevano dichiarato inutili i soccorsi dell'arte, si rivolse ai Lari per ottenere la salvezza dei figliuoli. I Numi in sogno gli imposero di raccogliere vicino all' ara di Dite e di Proserpina acqua calda, probabilmente minerale, quale attinta, fatta bere ai malati e cosparsa con una spugna sul loro corpo, ne seguì come per incanto la immediata guarigione.
Tra i poeti Lucrezio W descrive una pestilenza che si assomiglia moltissimo a quella di Atene, di cui parla Tucidide, e che assaliva per norma generale tanto uomini che animali.
.....ratio quae sit morbis, aut, unde repenteMortiferam possit cladem Gonfiare coorta Morbida vis hominum generi pecuclumve catervis, Expediam.
I sintomi speciali della medesima erano febbre altissima, rossore negli occhi, disfagia, afonia, sussulti nervei, tremolìo, singulti ed una eruzione erpetica somigliantissima allo zona o zoster detto anche fuoco sacro.
Et sinml, ulceribus quasi inustis, ornile ruberò Corpus, ut est, per membra sacer quom dieitur ignis.
A questi aggiungevansi insonnia, dispnea, accessi maniaci, espettorazione crocea e brunastra; e presso a morte, che seguiva per lo più all'ottavo o nono giorno, si aggiungevano fenomeni adinamici, fìsonomia alterata, smunta, incavata, freddo sulla superficie del corpo, sudori parziali viscidi. Quelli fra i malati che superavano il detto periodo di tempo, soccombevano per lenta tabe; dacché piaghe speciali ulcerose e nerastre, diarree colliquative
(1) Valerio Massimo — De ciuspiciis; Cap. mi.
(2) Lucrezio — vi, V. 1198.
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