Storia della medicina in Roma di Giuseppe Pinto
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dogli Dei. Consistevano in zuppe, cibi sostanziosi, farro, primizie di frutta, ed altre cose usate comunemente, ossia casareccio, di facile imbandigione e prive di ogni ricercatezza. Venivano collocate sopra mense di legno d'antico lavoro, dentro vasi di creta e panieri di vimini « ipse certe spoetavi in sacris aedibus coenas Diis appositas, in mensis ligneis antiqui operis, pultemque « in canistris et fictilibus quadrulis; liba item et far, fructuumque « quorumdam primitias, et alia ejusrnodi tenuia, paratiupie lucilia, « et omnis ineptiae esperta. »
Sembra ad alcuni (l) che l'istituzione dei lettisterni si confonda
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con quella della primavera sacra, ver sacrimi, in uso presso i Sabini, e, secondo Nonio Marcello, accettata e comandata dal collegio dei Pontefici e praticata presso i Romani nei gravi pericoli della repubblica. Infatti per celebrare questa feria si im-bandivaro carni di suini, pecore ed agnelli « suibus, ovibus et « agnis » offrendone parte in dono agli Dei; e per meglio placare la loro collera altre vittime si sacrificavano ad essi nei conviti « lectisternia donaria Diis afferro liostias mactare epulis. »
IV. È volgare opinione che le pestilenze romane, da noi testé passate in rassegna, fossero veramente febbri palustri male avvertite e curate. Una tale opinione deve escludersi assolutamente, giacché le ventisei invasioni epidemiche, di cui fin qui tenemmo parola, avvennero in epoca in cui il miasma febbrigeno, quale regna oggi in Roma e campagna, non esisteva affatto, mancando tutte le cause che in progresso di tempo lo hanno reso endemico nel nostro territòrio, come al dì \V oggi esiste con tutti i suoi vari tipi e caratteri di malattia locale.
Trattando della malaria già accennammo come soltanto sul finire della repubblica, e probabilmente dopo la prima guerra civile di Mario e Siila si cominciasse a parlare di febbri palustri. Non poco sembrano avervi contribuito le lotte intestine della Guerra Sociale lunga, disastrosa e funesta per depredazioni, mina di boschi e di città considerevoli, e per manomissione di quelle
(1) Tomassinj — De donarus ; Cap. il
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