Storia della medicina in Roma di Giuseppe Pinto

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      a cercar consiglio in Epidauro nella Grecia; quando cioè il morbo (nel 462) imperversando maggiormente o presentando nuove varietà di forma, aveva resi inefficaci i mezzi adoperati in altre simili occasioni.
      Dionisio t1) in qualche modo accenna ai varii cambiamenti che dovettero subire le vecchie usanze mediche, e fa menzione del tentennamento dei Romani nel seguir queste o i riti sacri. « Quamdin igitur aliquid spei multis in divino auxilio fuit, omnes ad sacrificia et expiationes se converterunt, atque confugeruni* multique novi atque inusitati ritus, parum congruentes deorum « caeremoniis, in urbem a civibus romanis introducti sunt. Ubi « vero cognoverunt nullum sibi auxilium a Deo ferri, seque ipsi « curae nulli esse, eumque nulla tangi misericordia, et ipsi divino « cultui vale dixerunt ». Donde è manifesto come stanchi di essere ciecamente obbedienti a vecchie ed inutili superstizioni, si volgessero a cose più positive e pratiche, quali sono le ricerche di rimedi e misure igieniche certe e vantaggiose.
      Certamente non conosceano quei mezzi di disinfezione che la scienza chimica dei nostri giorni ha scoperto ed adopera, traen-doli dal regno minerale, come il cloro, il manganese ed altri ; ma bruciavano tronchi e foglie d'alberi aromatici e resinosi; specialmente cataste di pini, abeti, lauri, mirti, cipressi le cui emanazioni balsamiche avranno dovuto distruggere il pestifero miasma che sì diffusamente nuotava nell'aria, divenuta unico e potente veicolo di contagio. E la cerimonia dei Lettisterni, non considerata nel senso religioso, ma sotto il rapporto della pubblica alimentazione, che a spese dello Stato faceasi per ognuno abbondante, ricca e succulenta, doveva essere di utile grandissimo alla salute del popolo; tanto più che sedendo al medesimo desco ricchi e poveri, patrizi e plebei, cittadini e stranieri, e regnando sovrana la pubblica ospitalità, si aveva l'immenso vantaggio di rinfrancare ranimo e il corpo, e di cacciare quel timor panico e quella paura del male, che suole essere sovente runico ed ingente moltiplicatore di malattie e di vittime.
      (1) Dionisio, x — Livio, v.


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Storia della medicina in Roma
Al tempo dei Re e della Repubblica
di Giuseppe Pinto
Tipografia Artero e Comp.
1879 pagine 434

   

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