Storia della medicina in Roma di Giuseppe Pinto
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Por tutto il corpo si diffonde il cibo Degli animai: crescon le piante e fanno Nella propria stagione il fiore e il frutto, Sol perchè preso il nutrimento loro Sin dall'infime barbe egli si sparge Tutto per tutto il tronco e tutti i rami.
Credo avere stancato il lettore con le soverchie citazioni, tratte • dal meraviglioso libro di quel grandissimo poeta, il quale con la massima disinvoltura e competenza trattò in tempi oscurissimi delle più ardue questioni fisiologiche. Però gli eruditi vorranno sapermi grado se con la possibile diligenza ho loro trascritto le teorie da Lucrezio esposte sopra importantissimi argomenti; alcune delle quali giuste ed ammesse anche nelle scuole moderne: altre quantunque abbandonate, non hanno cessato di tornare in varie epoche all'onore della discussione, mediante Tesarne accurato di gravi filosofi e medici. Nè si dica che Lucrezio fu semplicemente un fedele traduttore di Epicuro o di Zenone, di cui è fama fosse stato discepolo in Atene. Egli con acume di critica confuta gli altri filosofi contrari alla dottrina del suo maestro, e attenendosi, come il Martha afferma, al pensiero di lui, lo amplifica, lo paragrafa, lo commenta, studiandosi di spiegare, ma guardandosi dall'abbellire soverchiamente la concisa aridità del maestro.
Bisogna riflettere che il poema di Lucrezio è il più antico monumento della scienza in Roma, e in esso, nonostante alcuni errori grossolani ed ipotesi troppo avanzate, vi appariscono grandi verità, e cognizioni anatomiche e fisiologiche che non possonoper l'epoca essere più complete e sensate. Dovendo dare alla scienza un linguaggio tutto proprio, Lucrezio vi si accinse, e
riuscì in guisa che la molta fatica da lui sostenuta per ridurre in versi, argomenti di arditissima filosofia, fu abbastanza compensata dal merito dell'opera che desta sempre grande interesse. Se fosse stato meno studioso di arcaismi, da sembrare talvolta molto affettato, non la cederebbe punto in merito poetico a Virgilio, come ne fa fede la splendida invocazione a Venere, con cui Lucrezio dà principio al suo poema.
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