DKLLA LINGUA ITALIAN*
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dose di parole vive della plebe romana. La stessa epigrafia latina, a causa della flessione mutilata e contraria alla grammatica, ci attesta che un linguaggio più scadente fu usato dal popolo.
Secondo il Diez, l'esistenza del volgare latino in Roma è un fatto che non abbisogna di essere provato, anzi ci vorrebbero delle prove per asserire il contrario. Secondo lui, i caratteri di esso sarebbero: una pronuncia trascurata, la tendenza a sottrarsi alle forme grammaticali ed alcune frasi e costrutti particolari. In origino la lingua dei prischi Romani fu una sola. Dopo che la divisione dei Romani si fece maggiore, anche la lingua si scindette in due. 5Ia è difficile dire dove termini l'una e cominci l'altra. Quando gli scrittori ci affermano che esistevano due linguaggi, uno plebeius, rusticus, cotidanius, vulgaris, ed un altro per-politus, urbanus, togatus, non hanno voluto indicare due idiomi differenti, ina sfumature diverse di una stessa lingua che andava dallo stile elegante e ricercato del romano grecizzato, al ruvido e popolano del legionario e dell'artefice. Per ben comprendere come il latino parlato dal popolo potesse differire da quello delle persone colte, è da notarsi che la latina, al pari dell'italiana e di altre lingue, possedeva una gran quantità di sinonimi, alcuni preferiti dal popolo, altri dalla classe colta, come: adiutore e
A ciò -è da aggiungersi ancora l'influenza naturale dei luoghi. La lingua latina non poteva sfuggire alla legge di natura per cui variano le parlate da un contado all'altro. Cosi dentro il Lazio devono essersi formate delle varietà dialettali, che non erano così notevoli come nei giorni nostri, per due ragioni: primo, per l'azione potentissima di Roma ; secondo, perchè lo lingue antiche, più sintetiche delle moderne, differenziavano meno fra di loro. Però, se esisteva, come tutto lo prova, un latino volgare ed uno letterario, la loro differenza non doveva essere così grande come credettero alcuni filologi, nè l'uno intelligibile