Storia moderna della Sardegna di Giuseppe Manno
PARTE PRjMA. — LIBRO SECONDO.
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rezza dei popoli, doveano giovarsi di ogni espediente, onde guarentirla da invasioni edfnsutti. Questo è di fatto il quadro generale delle cose pubbliche della Sardegna, che nel declinare del sesto secolo e nell'incominciamento del seguente trovasi delineato nelle epistole del santo pontefice Gregorio Magno; unico e prezioso monumento che rischiari le vicende sarde di quei tempi.
Da queste si rileva quanto impegno ponesse il Pontefice nella conversione al Cristianesimo dei popoli barboncini [a. 594]; chè cosi chiamavansi le nuove genti passate dall'Affrica regnando Giustiniano, ed annidatesi nelle più aspre montagne dell'isola. Si rileva quanta sollecitudine gli costasse il francar l'isola dalle correrie di Agilulfo duce di Torino e sovrano dei Longobardi [a. 598], Si rileva ancora che nel prendersi questo grave pensiero egli non incontrava l'aiuto d'alcun duce imperiale: poiché costretto era a risvegliare lo zelo del vescovo Gianuario già più volte acremente ripreso per la sua dappochezza e melensaggine, cercando il Pontefice di trasfondere nell'anima tiepida di lui l'energia che gli scaldava il petto per la salvezza dell'isola. Si rileva, in somma, quanta fosse la paterna dilezione di Gregorio Magno per quei popoli, lo zelo suo per la fede, la sua severità per la conservazione della disciplina ecclesiastica, la cura sua per la moltiplicazione dei monasteri, e per lo governo degli ospedali. Onde, se mancò in quell'età alla Sardegna il benefizio di un governo intento ai suoi bisogni, non le mancò il conforto di un padre che lamentava e temperava le sue calamità.
Tempi in vero calamitosi furono quelli dell' impero greco, se si considera che regnando Costantino detto Costante, non fu l'isola manomessa dai nemici, o dai depositari mal fidi del potere imperiale, ma dal principe istesso; parlando gli storici delle avanie commesse da questo imperatore nelle province ed isole italiane, allorché le v.isitò personalmente, come di cose inaudite fino ad allora. All'amorevole accoglimento fattogli in Roma dal pontefice Vitaliano avea l'imperatore corrisposto, spogliando quella metropoli di tutti i bronzi che l'adornavano, e togliendo le stesse ricche tegole che coprivano il Pantheon. Nelle province usò ogni maniera di depredamento, rompendo ai sudditi suoi quella guerra di esterminio e di rovina, che torna più fatale di
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