Storia moderna della Sardegna di Giuseppe Manno
172 STORIA DI SARDEGNA. [4*793]la tulli quei giorni di trambusto egli era stato dapper-^ tutto, non per esercitare alcun particolare officio, eh1 ei non ne avea, ma perchè gli uomini d'ardimento s'intromettono,
rio, e d'animo composto qualche volta ad umanità, più frequentemente a ferocia, sempre a scaltrezza. I termini posti a questo lavoro non ci concedono d'incontrarlo nel terso stadio della lunga sua vita di prigionia. Ma perchè i leggitori possano, dal paragone del Sulis possente e del Sulis caduto vittima di reazione anch' essa feroce, trarre meglio al- netto il carattere di quest'uomo straordinario, ne daremo qui un cenno.
Al giungere della R. Corte in Sardegna, nel 1799, egli, cbe avrebbe potuto frapporre impedimenti all'accoglimento fattole, fu in grazia alla benevolenza saggiamente, mostratale dal real duca d'Aosta onorato di pubblica carica e di fiducia. Ma i nemici suoi trovarono modo, dopo la partenza del suo protettore nello stesso anno, di avvilupparlo in un processo di maestà, in coi a mala pena potè salvare il capo. Pei particolari della sua condanna si può leggere la bella e imparziale Storia del cavalier Pietro Martini che fa seguito a questo nostro lavoro. Siccome però la prigionia del Sulis durò assai più del tc«po compreso in tale storia, possono serbarsi qui i ricordi che seguono. •
Egli era da parecchi anni chiuso nella torre chiamata dello Sprone io Alghero, quando, inviati colà altri rei di Stato suoi antichi scherani, cbe rin^pfovcravangli giornalmente la miseria in cui erano per lui profondati, prese da ciò incitamento a tentare una fuga quanto mai difficile. La torre ha un solo vano circolare, il quale non riceve luce che da una finestra aperta nella volta e sbarrata con grossi ferri. Da tale finestra, quasi a modo di volatile , volle egli aver l'escita. Chiese perciò ed ottenne la permissione di foggiarci come un padiglione di antiche vele, che gli concedesse di posare in disparte, e non molestato dai buffi di vento che il contiguo fiotto inviava colà entro. Tenuto visibile il padiglione ai custodi lungo l'inverno, non parve loro denegabile la licenza chiesta nell'estate di piegarlo in una baoda della torre. Ma nell'estate l'ordito di quelle tele si trasformò lentamente in una cordicella adeguata all'altezza della finestra; e legatovi un sasso , ebbe il Soli* a lanciarlo tante volte in alto, che potè infine, imbroccando nel vano dell' inferriata, farlo scendere a terra, scorrendo a -modo di carrucola sopra una di quelle spranghe. Preso l'abito di quello scagliamento, ed ingrossate eoo ugual mezzo altre funi che reggessero una scala a corda, saliva egli giornaU mente, nelle ore di non preveduta visita, infino all' inferriata ; e questa nel lavoro paziente di più mesi trovavasi già pressoché scassinata, allorquando l'impazienza di un compagno che volle abbreviare con mano più spedita l'opera lenta ma meno rumorosa del Sulis, die l'allarme ai custodi.
Diventata allora assai più rigorosa la custodia, egli s'appigliò ad altro espediente, che non so se debba appellare stoico o forsennato. Colla speranza di ottenere cambiamento di luogo, simulò apoplessia, ed ebbe il coraggio di sopportare, senza batter palpebra, le prove barbare che barbari custodi, diffidenti di quel suo trovato, tentarono sul suo corpo. Forza fu adunque trasportarlo a prigione meno insalubre in Sassari, dove appunto egli anelava di condarsi, indettato colà con chi potea agevolargli urò più facil fuga. Questa ebbe luogo indi a poco nel modo stesso con cui l'eroica signora La Velette
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