Storia della Toscana dalla fondazione di Filippo Moisè
capitolo pioio. 66
verta, e più viva la speranza di tornare in aoge per i (avori dei popolo, del re Carlo e del pontefice, aspettavano anch'essi T opportunità del tempo, e segretamente meditavano di ripigliarsi le redini dello stato. Infatti aveano chiesto gente armata e un valente condottiero a re Carlo, e questi mandò loro ottocento lancie francesi capitanate dal conte Guido di Monforle. Quando i Ghibellini lo seppero, non ne aspettarono l'arrivo, e prevedendo come sarebbono andate a parar le cose, per la maggior parte si rifugiarono pelle città della lega ; i Guelfi, rinfrancati da ogni timore, dettero per dieci anni la signoria di Firenze a re Carlo, che ogni anno vi si faceva rappresentare da un suo vicario, come i Ghibellini l'avevano già data a re Manfredi.
Non si creda però che questa signoria equivalesse a re' già autorità, nè che potesse Carlo fare e disfare nella repubblica; al contrario in questo tempo appunto ebbe Firenze piena libertà, consolidò il suo reggimento democratico , e provvide colle leggi e coi novelli magistrati al ben essere e alla quiete dei cittadini. Si ordinarono per ogni due mesi dodici Buonomini che regolassero come facevano gli anziani-la pubblica cosa; dipendevano costoro da un grosso consiglio di cento popolani grassi, da tin consiglio segreto, che si disse di Credenza, composto di ottanta membri e dei gonfalonieri delle arti maggiori, esclusi rigorosamente i Ghibellini e i nobili; si ordinò un consiglio del podestà, composto di ottanta nobili e popolani, ed aveaRo diritto di sedervi anche i capi delle arti ; finalmente si istituì itn consiglio generale che era formalo di trecento eiltadini di ogni grado. I membri di quegli consigli si mutavano d'anno in anno, e questa rapida vicenda, chiamando in ufficio moltissimi cittadini, manteneva vivo .in tutti l'amore e la carità della patria. I consigli deliberavano sulle leggi, riformavaBO gli statuti , distribuivano gli offieii ; i Buonomini proponevano le leggi e le discutevano col consiglio del popolo ; le approvava o le rigettava il consiglio di credenza ; approvate, si portavano al consiglio del podestà e in ultimo al consiglio generale, che aveva diritto anch' esso di approvare o di ri' gettare. Non poteva esser più democratico un governo le fila del quale stavano in mano di più che cinquecento set-Storia della Toscana 5
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