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LIBRO I'RIMO.
la signoria elei mondo, senza chiedere eziandio quella delle arti, dell'eloquenza e del sapere.
Eoceudent alii spirantia mollius aera, Credo equid,era : viv<3s dueent de marmore vullus : Orabunt caussas melius, eoelique mealus Deseribent radio, et surgentia siderei dieenl: Tu regere imperio populos, Romane, memento ; I-Iae tibi erunt artes ; paeisque imponere morem, Pareere subjeetis, et debellare svperbos (1).
Con idee e costumi si fatti doveva accadere, come veramente accadde, che le lettere , ed in genere gli ameni studi non trovassero favore in Roma se non se tardi ed a gran stento ; e che allora soltanto cominciassero ad essere accolti ed onorati, quando, per la cognizione della letteratura e dell'arte greca, la nobiltà romana venne a comprendere, che cinta di queir aureola di coltura sarebbe stata più autorevole e potente nei consigli della repubblica. Quindi la letteratura, non appena sorta, si fece nelle loro mani un'arte di governo ; e per ciò appunto, e principalmente dentro questi limiti essa potè crescere e prosperare, perchè fu giudicata un abile stromento da aggiungere agli altri molti, coi quali si conducevano a buono e glorioso fine i pubblici negozii. Così le lettere furono chiamate a servire ad uno scopo di politica utilità, e divennero per gli ottimati un mezzo efficacissimo d' autorità e di potere. Nè lo stesso Augusto, che pur fu di esse il più splendido protettore, le volle usate ad altro fine che a rendere più solida e più accetta ai Romani la nuova sua dominazione.
Pertanto la letteratura romana, se tu la consideri nei suoi lineamenti più generali , ti presenta tutti i segni d'uno studio e di un' opera diretta ad ajutare col magistero della parola l'andamento della cosa pubblica ; e vedi come que' rami di essa, i quali meglio rispondevano a tale divisamento, furono anche più curati, e dettero frutti migliori e più copiosi. Mentre rimasero invece al disotto quegli altri, ne' quali il proposito di recare un' immediata utilità allo stato non poteva essere nè unico nè principale. Così tra gli autori romani vediamo tener il primo posto i prosatori: storici ed oratori ; e venir dopo di loro i poeti, ai quali mancò in Roma, anche per altre cause , la materia e lo stimolo a toccare quell' eccellenza cui raggiunsero i poeti della Grecia. E la filosofia che varcando i segni del pomerio, e levandosi sopra le parziali e momentanee ragioni della città e dello stato, si propone di investigare e di stabilire le leggi costanti ed universali dell'uomo e della natura, questa disciplina, che tanto prosperò nella Grecia, in Roma quasi non fece un passo, o fu studiata solo per cavarne quella utilità, che essa poteva conferire alla educazione del costume ed al buon governo della repubblica (2). Cotale fu, considerata nell'indole sua generale, la romana letteratura : pratica negli intendimenti, e nella estensione limitata a curare in ispecial modo quelle parti che paressero più atte a conseguire il fine comune della città, cui pur essa doveva servire.
E questo carattere si rileva in essa ancor meglio, quando noi la paragoniamo colla letteratura dell'antica Grecia. Quivi le città sparse e divise, la varietà delle
(1) Virg. Eneid. VI, 847.
(2) Lelio nel primo dei libri della Repubblica (cap. 18) narra che Elio Sesto, l'uomo cauto e prudente, si dilettava moltissimo del rs'eollolemo di Ennio, perchè dice: se philosophari velie, seti pancia : nam omnino haud piaceret Che in Roma poi qualcheduuo eredesse all'utilità della filosofia, sarebbe, in mancanza d'altro, provato da quel mollo di Vairone nella satira mei èSsuizw : Si quantum opcrae sumpsisti, ut tuns pistor bonum faceret panem, ejus duodecimam plnlosophrae dedisses , ipse bonus jampridem esses faclus. JYunc illuni qui norunt, volani emere millìbus cenlum: le qui novit, nemo ceniussìs, Aulo Ge.llio. N. A. XV, 19.