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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   capitolo ix. — i grammatici. 565
   il che ottenuto, dichiara che il naufragio di Enea significa la nascita dell'uomo, che dolente e lagrimoso entra nelle procelle della vita; Giunone che muo^e il naufragio è la dea del parto, ed Bolo è la perdizione; Acate significai dolor dell'infanzia: 1 canto di Jopa è il canto delle nutrici. All'infanzia, avida di raceont. favolosi e di maraviglie, si riferiscono i racconti del II e III libro, ed il Ciclope che simboleggia il poco intelletto e l'animo prono ad alterigia, ed è domato da Ulisse che è d senno. L'infanzia chiudesi coi funerali d'Anchise, cioè coll'uscire dalla tutela paterna. Allora, libero di sè l'uomo si dà ai piaceri della caccia e dell'amore, e la vertigine della mente (bufera) lo conduce alle tresche illecite (Didone), finché ammonito dall'intelletto (Mercurio) torna in sè e lascia quelle, e l'amore muore Incenerato (fine di Didone). Tornato al sereno, l'animo richiama gli esempi della memona paterna e si dà a nobili esercizi (giuochi funebri in onore di Anchise), e l'intelletto tr.untante annienta gì'istruraenti dell'aberrazione (navi bruciate). Così corroborato, s. rivolge alla sapienza (tempio dApollo), non senza prima essere stato liberato dalle allucinazioni (PaJinuro), ed aver deposta la vanagloria (sepoltura di Miseno). Munito del ramo d'oro, cioè del sapere che apre l'adito alle riposte verità, intraprende il viaggio della filosofica investigazione (discesa all' inferno), e passa, guidato dal tempo (Caronte), l'onda agitata e torbida degli att giovanili (Acheionte), ode le querele e i litigi che divìdono gli uomini (Cerbero latrante). Così procede alla conoscenza della vita futura, delle sanzioni del bene e del male, e dinanzi a quelle ripensa alle passioni (Didone) ed agli affetti (Anchise) della sua prima età. L'animo fatto sapiente si libera dalla precettrice (funerali di Cajeta), e giunto all'Ausonia, cioè agl'incrementi (da zu&vsiv) del bene, sceglie a consorte la fatica e la lotta (La'dma, quasi laborum via), e fa suo alleato l'uomo dabbene (Evandro), nella qual società impara i trionfi della virtù sul male (Ercole e Caco). Fattosi usbergo dell' ardente anima sua (armi di Vulcano) si slancia nella lotta e combatte (libri IX-XII) contro il furore (Turno), il quale guidato dall'ebbrezza prima (Metisco) e dalla pervicacia poi (Juturna, quasi diuturna) ha seco l'empietà (Megentius. contemptor Deorum) e l'irra-gionevolezza (Messapo). Ma tutto finalmente è conquiso dalla sapienza trionfatrice.
   In questo accozzo di fantasticherie pazze e di etimologie stravagantissime e ridicole, di cui non abbiamo dato che un magro sunto e un imperfetto saggio, è inutile dire che vi manchi ogni solidità; ma ben è necessario avvertire che non v'è neanche quella qualche finezza di congegno e quel grado di speciosità di cui anche simili pazzie possono essere suscettibili, sì da produrre qualche diletto o da creare in certe disposizioni psicologiche qualche allucinazione. Il procedere anzi di Fulgenzio è così incoerente e violento, il calpestare che fa il buon senso è così brutale, che non si sa cap;re come un sim.ie lavoro possa essere stato da lui concepito, e da altri preso, sul serio. Neppure alla finzione da lui immaginata l'autore si attiene costantemente, e in qualche luogo Virgilio, dimenticando d'esser Virgilio, parla come fosse Fulgenzio, e cita anche Petronio e persino Tiberiano! Ed il lavoro, dove non c'è ombra di economia e di proporzione, succede che, per la spensieratezza dell'autore, il quale non ha riflettuto che alla fine dovea far ritirai e Virgilio e tornare in ballo lui, e congedarsi lu dal lettore, pare proprio che non finisca.
   Il linguaggio di Fui gen, .0 è uno strano aborto di una barbarie che pur vuole affettare ricercatezza, con fras lambiccate e contorte, e con voci peregrine pescate d'ogn dove e usate a sproposito. Lo sforzo dell'autore, in questo come in tutto, è di parer detto e pensatore, al qual fine osa sinanco inventar nomi di opere e di autori che mai non esisterono. Eppure in quell'epoca infelice egli vi potè riuscire, giacché da p ì indizi appare ch'egli si conquistasse rinomanza di dotto, e per l'uso che ( lui fecero mitografi posteriori passasse sino nelle scuole con le sue spallate interpretazioni mitologiche.
   È notevole poi che, sebbene cristiano, Fulgenzio mai non si curi di conciliare la tradizione classica col cristianesimo: l'intento suo è affatto filosofico, è la conciliazione delle favole antiche con la filosofia.
   Porta anche il nome dì Fulgenzio, ma si dubi? a se convenga al nostro, una