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Ma quel malaugurato dicèvamo seguita dopo a fuorviar l'a. e a condurlo a un nuovo paralogismo, del quale però è singolare non siasi avvisto che cozzava col-l'altro di prima. Dicèvamo, continua, ha il suo riflesso nel lombardo disèvam, e ciò prova che anche il toscano, per quanto l'ottimo, è anch'esso un dialetto. Lasciando stare che nessuno ha mai negato che il toscano sia un dialetto, e solo si è potuto voler dire che la lingua Ietterai a istessa non sia alla fin dei conti che un dialetto; ma come non vedere che l'essere il lombardo e il toscano così d'accordo circa il dicèvamo e altri casi simili, è la prova più evidente che dunque quella pretesa eredità etnisca del toscano è una mera immaginaJone ?
A pag. 51, riga 2 seg è dato uti bévesti, come base del contratto bèsti. Ma il bévesti è impossibile, e bèsti non è che be(v)ésti.
A pag. 51 nota (3), è detto che in itaaano cadde affatto Vi di ingenium, Junius, come quello di imperium. Ciò è >iesatto: in impero è veramente caduto l'i latino, ma in ingegno e in Giugno Vi dell'ultima s.daba c'è ancora, quantunque mascherato nello gn (—nj). È anche inesatto dire che vinca latino, passando a vigna italiano, abbia perduto l'è: laddove trattasi invece della mutazione d'e, avanti vocale, in i, e di questo in j (vinja ossia vigna)
A pag. 58, nell'ultimo alinea, è attribuita l'opinione del Fuchs al Fauriel e viceversa.
A pag. 70, poco dopo la metà, dove si ha leggi iie/jtc^óIj.
A pag. 71, riga 12 seg. si afferma che gli Umbri, gli Oschi, i Sabini lasciarono ;persino che si venisse storpiando e mutilando la loro lingua, così che diventasse inetta a produrre giammai un monumento letterario. Ma l'affermazione è insostenibile, giacché la capacità letteraria d'una lingua non può dipendere dall' essere le sue forme più o men logore e corrose. Si potrebbe tutt'al più dire che la capa» ;tà sia maggiore nelle lingue meno scadute foneticamente, serbanti meglio lo stampo primitivo (quantunque anche su cotesto si può trovar molto a ridire), ma, che la capacità letteraria di una lingua si disperda collo scadimento fonetico di questa, è cosa non approvata dalla ragione, e solennemente smentita dal fatto. 0 non è una i;ngua letteraria l'inglese? Eppure quaie più logora di essa, che quasi rasenta 1 monosillabismo chinese? 0 il francese?
A pag. 115, nota (A), è riferito un passo di Svetonio, per dedurne che Labeone e PopUio fossero poeti comici. Ma non sen deduce altro, se non che furono poeti.
A pag. 219, nota (1), si legga (non Sdu uj (non pvì).
» » 302, verso la metà, si dice che la legge, per la quale nelle lingue romanze la vocale latina ha un succedaneo diverso secondo che è tonica o atona (fiero
e feroce, vuole e volere), non sia molto costante, per via di fiero e fierezza, siepe e assiepare, e altri casi simili, ove si ha il dittongamento pure nella protonica. Sennonché bisogna avvertire che fierezza, assiepare, e simili, sono forma; oni italiane, e non dirette continuazioni di forme latine, sicché per esse la legge non doveva aver luogo. Che se talora ha pur luogo in casi simili, è dovuto semplicemente all'analogia di quelle forme parallele che continuano normalmente le se: «e parallele del latino ; analogia che può esercitarsi o mancare. E ciò può servire a spiegare perchè riescan vani gli sforzi dei grammatici, che sul tipo di buono e bontà (bònus, boni-tàte(m)) vorrebbero imporre buono e bollissimo. Il buonissimo non può esser tolco di mezzo, perchè è una formazione recente fatta direttamente da buono.
A pag. 304 si tocca della sparizione dei casi nell'italiano, e se ne dà dapprin-