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Storia Letteraria d'Italia
I primi due secoli
Adolfo Bartoli
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 552

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a cura di Federico Adamoli

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   C c/titolo i»i;imo.
   lotta 1 i-ri. lo lingue indiatilo, dei vinti, e la lingua de.' viiwitori, olire in Italia caratteri speciali. Oui il dialetto del Lazio non dovè essere considerato'-onie all'alto straniero; qui dovè essergli ,>iù l'arile aprirsi la via, eri imporsi, e dominare sovrano, «patìminiente tra le popolazioni umbre ed oselle che l'orso sentivano la fratellanza antica che già le avea congiunte ai Latini. Onde e che, mentre la pallia (1), la Spagna (2), l'Tlliria non perderono c non dimenticarono all'atto le loro lingue prelatine, le dimenticò invece l'Italia, e siffattamente, da essersene cancellata ogni traccia, assorbendo essa il nuovo idioma di Roma, connaturandolo a se, immedesimandolo alla propria storia per guisa che le fu poi molto dillicile e faticoso spogliarsene, e seguitò anzi ad usarlo anche quando la civiltà latina era già tutta spenta, quando era già sorta un'altra lingua, segno e frutto di un'altra civiltà.
   Per lungo tempo l'origine delle lingue romane fu argomento a varie e non sempre ragionevoli ipotesi. Esaminiamo, per rispetto all'italiano, alcune delle principali, di quelle che ebbero una maggiore autorità. Il4i3nbullari, dotto nomo dell'erudito cinquecento, compose un libro apposito per discorrere le origini della lingua ch'egli chiamava fiorentina ; e rigettando come assurda la opinione che la faceva derivare dalla corruzione del latino, si fece a dimostrare con erudizione pomposa che era invece un componimento di varie lingue, di etrusco, di greco, di latino, di tedesco, di francese, e che derivava principalmente dall'araineo, padre fortunato dell'etrusco e dell'ebraico. Sill'atta stranezza ha riscontro in quella del Guichard e del Tliomassin, i quali dalla lingua ebraica vollero far derivare il francese. Meno strana ci si presenta la opinione del ijbmbo, il quale, dopo avere sentenziato, con quella sua forma più pettoruta che grave, essere impossibile di sapere appunto quando la lmgna italiana nascesse, quanto poi al modo onde nacque, soggiunge, che fu senza dubbio dal latino, andatosi via via modificando, alterando, rinnovando per opera delle lingue parlate dai barbari : per cui accadde che in processo di tempo ne usci fuori una lingua nuova, la quale ritenne « alcun odore e dell'una e delle altre » (3). Uguale opinione tennero altri oracoli del cinquecento, lo Speroni ed il Muzio (1); nè se ne scostò troppo il Varchi, il quale, come è noto, scriveva che dai mali portati all'Italia dai barbari nacquero due beni, la lingua volgare e la città di Venezia. Il Muzio, anzi, andò più oltre ancora, ed usci in quella singolare opinione, che avendo i Romani più che gli altri uomini d'Italia ritenuto del latino, ed i popoli settentrionali d'Italia piii del barbaro, accadde die ai Toscani posti fra gli uni e gli altri «.sia tra questi due estremi venuta fatta una mescolanza tale, quale ella si vede più che altrove bella e leggiadra. » Nò fu solo il secolo XVI a credere derivata la lingua italiana dalla corruzione che i popoli germanici imposero, quasi diremmo, al latino; che anzi tale ipotesi si è riprodotta ai tempi moderni, e di essa sonosi fatti propugnatori parecchi scrittori, tra'quali ci basterà di citare il Lewis, lo Schlegel e Max Miller. Il quale ultimo, a cui nessuno può ricusare autorità somma nel campo filologico , si argomenta di provare che le lingue romane non sono altro che il latino modi tic ato dai popoli germanici, e rappresentano, non già il latino quale sarebbe andato sviluppandosi secondo le proprie leggi naturali, ma quale invece se lo appropriarono le genti alemanne; o, in altre parole, il latino passato dalle bocche romane alle, bocche tedesche. (5)
   (1) Da un passo della Vita eli San Martino, scritta da Sulpizio Severo, pare che nel-l'Armorica e nell'Aquitania si parlasse ancora la lingua gallica e. la celtica nel V secolo; «Tu vero.... vel celtice, aut si mavis gallico loquere, dummodo jam Martinum loquaris ».
   (2) La Cronaca di Liutpraudo dice elle nel secolo Vili in Ispagna si parlavano dieci lìngue. Anche senza credere a « tout ce gàcliis de langues », queste parole hanno un'importanza che non può essere disconosciuta.
   (3) Bkmi:o, Prose, Lib. I, 33.
   (Il Dialogo delle lingue. — Battaglie per la difesa dell' Italica lingua.
   (5) Uber deutsehe Schat tirung romam.schcr Worte, nella Zcitschrift far Vergleichende Sprachforschung di Ivunh, V, li e segg.