10
CAPITOLO PRIMO.
Testiere, in poi, ella sia per poco la medesima: la medesima, dico, ili sostanza, cioè ne' corpi de' vocaboli e non negli accidenti, cioè nelle passioni delle voci.
Coloro clic tengono dietro ai progressi odierni degli studi filologici nel campo delle lingue romane, non vorranno certo ricusare la lode dovuta a Celso Cittadini, il quale scriveva tali ed altre importantissime cose, frecento anni prima che comparissero Fanriel, I)u Méril, Fuclis, Griinin e Dit-z. E noi dobbiamo bene rallegrarci che l'Italia abbia una serie non interrotta »Ji scrittori, da Leonardo Bruni e dal Cittadini lino a Giovanni Galvani, i quali compongono una scuola ed una tradizione che ha certo grandemente giovato a porre i dotti stranieri moderni per quella via che li ha condotti alle scoperte ed alle conclusioni di cui oramai è in possesso la scienza. Il dotto Gravina (1) scrive potersi fondatamente credere che la nostra presente lingua sia stata volgare anche in tempo degli antichi latini....., e che
colla naturale mutazione delle cose e col commercio dei Goti, Eruli e Longobardi abbia mutato figura, non nel corpo e nella sostanza, ma nell'esteriore e nelle desinenze. Lo stesso press'a poco pensa il Castelvetro (2). E Scipione Maffei (3), più temperato de' precedenti, pur dichiarando non doversi credere che la favella italiana esistesse già fino dal tempo de' Romani, perchè quei volgarismi non bastavano a formare una lingua, ritiene però essere stato comune a Roma, avanti le irruzioni dei barbari, un linguaggio plebeo, differente da quello rimastoci nei libri; e cita di esso dialetto plebeo molti esempi, come testa, bucaci, cabalhis, tonns, iornus, ,ellus, rus-sus, bramosus, cornista, grossus, vernus, coda, tre, susum, cinque, sedici. Anche il Lanzi (4) professa la opinione stessa, che non fossero straniere lingue quelle che in Italia estinsero il latino ; ma sibbene un linguaggio di volgo che fin da antichissimi tempi annidato in queste contrade, anzi in Roma stessa, e restatosi occulto nei migliori secoli, si riprodusse nei peggiori; e dilatandosi a poco a poco, e prendendo forza, degenerò in quella che anche per questa sua origine possiam chiamar volgar lingua d'Italia.
Che dobbiamo noi pensare di tutto questo? E, innanzi che altre questioni ci si presentino, possiamo noi ritenere per certa e scientificamente provata l'esistenza del volgare latino? La risposta ad una tale domanda è resa meno difficile dalle opere che in questi ultimi tempi sono andate pubblicandosi in molte parti d'Europa, e che hanno trattata e sviscerata la questione sotto ogni aspetto. I tempi moderni che hanno veduto tanti e cosi splendidi progressi nella scienza linguistica, hanno pure confermate le induzioni del Bruni e del Cittadini. La prova della esistenza del volgare latino si è ricercata nelle testimonianze degli antichi scrittori, nelle parole di quel dialetto che fino a noi sono pervenute, e nel fatto naturale e necessario, comune a tutti i popoli, che accanto alla lingua letteraria vivano i dialetti plebei. i dialetti dell'uso. Le testimonianze degli scrittori sono molte. Cicerone in pi i luoghi accenna a queste forme volgari, come là dove dice doversi fuggire così la rusticani asperitatem, come la peregrinavi insolentiam (5); e dove dice che alcuni si compiacciono delle voci rustiche e agresti (6); e dove ricorda il sermone plebeo (7).
(1) Bella Ragion Poetica, lib. II, §5.
(2) Giunte al Bembo, pag, 29, 31. 11 signor Demattio nel suo recentissimo ed utile libro, Origine, formazione ed, elementi della lingua italiana, Innsbruck, 1869, ci sembra che erroneamente ponga il Castelvetro tra coloro che fanno derivare l'Italiano dalla corruzione del latino. Ecco le parole sue proprie: « la lingua volgare , quanto è al corpo naturale delle parole, era al tempo che fioriva il comune di Roma, ma tra le persone rozze, e vili e di contado .... I modi del dire c le voci usate dal volgo, al tempo che fiorisce il comune di Roma, i quali erano rifiutati dagli scrittori e da' dicitori nobili, principalmente e per la maggior parte sono rimaste nelle bocche degli italiani uomini. »
(3) Verona Illustrata, Bell' Istoria di Verona, lib. II, pag. 312 e segg.
(1) Saggio di lingua Etrusca.
(5) Be Oratore, III.
(6) « Rustica vox et agrestis quosdam dclectat, quo magis antiqnitatem, si ita sonet, eorum sermo retinere videntur. » Be Orat. III.
(7) Epist., IX, 21.