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Storia Letteraria d'Italia
I primi due secoli
Adolfo Bartoli
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 552

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   CAPITOLO PRIMO.
   italiche. Ed ecco a che cosa riduce® quella cosi vantata influenza dei popoli tedeschi, dei barbari del medio evo, sulla nostra lingua: a circa centoquaranta vocaboli che essa ha ricevuto dai conquistatori (1).
   Conoscere la storia etimologica dei vocaboli componenti una lingua, non è ancora conoscere pienamente la storia delle sue origini. Noi sappiamo oramai con sicurezza che il vocabolario italiano è quasi tutto nel latino popolare. Ma come accadde la trasformazione'? A quali leggi soggiacque? Ecco una seconda parte, ed importantissima, di uno studio sulle origini della lingua. Incominciamo dal verbo (2). Qual forma prese sul suolo romano la conjugazione latina? I verbi attivi conservarono all'indicativo il tempo presente, l'imperfetto ed il perfetto; al congiuntivo rimase il presente e il più che perfetto; disparve l'imperfetto ed il perfetto. L'imperativo non si mantenne in tutte le sue gradazioni di tempo; si formò dal presente dell' indicativo. Il gerundio si formò dal suo ablativo. Del participio si presenta, e quasi sempre con valore adjettivale, il presente; il futuro in pochi casi, e generalmente, come latinismo. Vedesi da ciò come il verbo attivo uscisse sufiicientemente integro dal grande naufragio delle forme grammaticali. Alcune forme si abbandonarono quando fu trovato il modo di sostituirle per mezzo della circoscrizione, a cui si adoperò il verbo avere, unito o al participio o all'infinito d'ogni verbo. E per tal modo si guadagnarono alcune altre forme di tempo che non poteva dare la grammatica latina. Unendo il verbo avere al perfetto del participio passivo, si espressero diversi tempi del gassato: habeo cantatum prese il luogo di cantavi. Ed habere, deposta la sua significazioue individuale, servi come parola di forma a designare le relazioni personali dell'idea di azione, contenuta nel participio. Al participio poi, oltre quella idea di azione, rimase solo l'indicazione del passato, la di cui determinazione precisa fu espressa dall'ausiliare (ho, aveva, ebbi cantato). Lo stesso verbo habere si adoperò ad esprimere il futuro unendolo all'infinito: costruzione conosciuta anche dai Greci, e che era forse più propria della lingua popolare che della scritta. Ilabeo audìre fu precisamente come habeo audiendum, habeo quod audiam, ho da udire, devo udire. Riguardo poi alla forma si rinnovò qui un fatto che più volte si osservò nella storia della lingua, cioè che il verbo ausiliare, abbassatosi a parola di forma, si incorporò poi coli'infinito quale suffisso. Cosi per esempio canterò non è altro che cantar-ho (3). Infatti nei tempi primitivi era comune la forma eanteraggio, dove aggio apparisce come una ben nota forma secondaria di ho.
   « E non mi partir a.g gio Da voi, donna valente. »
   Federico II.
   (1) Si calcola che le lingue romane prese tutte insieme abbiano 930 vocaboli di origine germanica. Cf. Diez, Gramm., Einleit., pag. 6G. Ved asi tutto il paragrafo che tratta dell'Elemento Germanico. Ved. anche il capitolo Be VInfluence des Langues Gcrmaniques in Du Méril, Formation de la Langue Frangaise, 192-244; e Facriel, Hist.de la Gaule Mérid.; e un bell'articolo di Patin, nel Journal des Savants, 1838.
   Diamo un breve saggio di parole italiane derivate dalle lingue germaniche: werra (guerra); heriberga (albergo); blacse (blasone); helmbarte (alabarda); halsberc (usbergo); stràla (strale); gundfano (gonfalone); sporo (sperone); staph (staffa); brittil (briglia); herold(araldo); manogalt(manigoldo); siniskalh(siniscalco); sclave (schiavo); kiol (chiglia); sperwaere (sparviere); wanka (guancia); skina (schiena); ancha (anca): skinho (stinco); melm (melma); busch (bosco); ivat (guado); blanh (bianco); brùn (bruno); gagol (gagliardo); galli (gajo); gelo (giallo) ; grls (grigio): leid (laido); llstig (lesto); sleth (schietto); slimb (sghembo); snel (snello); dansòn (danzare); drescan (trescare); furban (forbire); hartjan (ardire); lecchùtt (leccare); rahjom (recare); rldan (riddare); scherzen (scherzare); wogen (vogare). Alcune però di queste etimologie non souo ben eerte.
   (2) Noi non facciamo in questa parte che accennare di volo quello che è svolto ampiamente e magistralmente dal Diez.
   (3) Nota il Diez a questo punto come nel dialetto sardo il verbo ausiliare abbia preso il suo posto innanzi all'infinito: canterò — hapu — cantai, hapo a cantare.