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Storia Letteraria d'Italia
I primi due secoli
Adolfo Bartoli
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 552

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   ORIGINI DELLA LÌNGUA ITALIANA
   
   < Ed a lui serviraggio Mentre ch'io viveraggio. »
   Pier delle- Vigne.
   « A te, mio figlio, questo /'araggio.
   « Della tua morte io piangeraggio.
   « Nè di far ciò mai non eesseraggic.
   « E per lo tuo amore ben morraggio. »
   B. tacopone.
   In forza del medesimo metodo si creò con ìiabebam un secondo tempo, che corrisponde press'a poco all'imperfetto latino del congiuntivo, e fecesi cantar-avia, cantar-ia, canter-ia. Un'altra unione dello stesso significato col perfetto habui, diede la forma canter-ei.
   Le lingue romane perdettero una parte delle vecchie forme flessibili. La causa di ciò sta in una certa naturale trascuranza della lingua popolare. Riuscendo difficile di attenersi alla pronunzia di quelle varie e numerose forme dipendenti dalla quantità, a poco a poco la loro pronunzia stessa ed il loro significato vanno oscurandosi ; ed il senso della lingua che aspira a chiarezza, cerca di rimpiazzare questo difetto mediante parole ausiliarie, le quali stanno o isolate od affìsse, e sogliono poi passare dal loro individuale significato ad un significato astratto, corrispondente alla forma grammaticale che esse suppliscono. Noi non ci fermeremo qui a parlare del genere e del numero latino, e delle modificazioni introdottesi nelle lingue romane. Fermandoci piuttosto sul caso, ci si presenterà la domanda, quale sia il caso normale, al quale, spenta la flessione nelle lingue romane, si diede la maggiore importanza per sostituire tutti gli altri.
   La supposizione cadrebbe sul nominativo, il casus rectus, che, come il suo nome stesso esprime, accenna soltanto l'idea; ma invece l'esperienza ci mostra che i principali casi tipici sui quali le lingue romane si fondarono, furono il nominativo e l'accusativo insieme, e quest'ultimo anzi ebbe predominio sul primo. Formazioni basate sopra altri casi sono assai rare. Per quello poi che riguarda la relazione delle forme finali romane dei due casi normali, è evidente il passaggio di ani in a, d. um in o ; e ciò è confermato dalle forme delle persone dei verbi, dei pronomi e de numerali, poiché corona, anno, ladrone, stanno in relazione con coronam , annum, latronem, come amava, loro, secondo, ami, dieci, sette, con amabam, ilio-rum, secundum, ameni, decem, septem. Ciò trova spiegazione e conferma nella storia della lingua latina.
   Nella flessione dei pronomi le lingue romane esternano maggior vita che nelle altre, poiché in essa la forma dell'accusativo non si spense mai; si conservò il nominativo, ed in alcuni casi anche il genitivo ed il dativo (1). Da ego fecesi eo, io; da tu, nos, vos, tu, noi, voi. Da illic, fecesi egli, etti; da ìstic, esti, questi. In lai, è un avanzo del genitivo illui, illius; come resti del genitivo plurale sono loro, coloro, costoro, da illorum e istorum. La terminazione italiana ei è da riferire alla latina ae; da illae, ebbesi lei, coli'aggiunta di un i, per ragione prosodiaca; da illi, dativo masc. sing., gli; da illae, le. Quindi i pronomi italiani che mantengono l'impronta del caso latino, non hanno bisogno del segnacaso. Gli esempi di ciò sono, come ognuno sa, frequentissimi nella lingua nostra. Una caratteristica grammaticale degna di osservazione è la doppia forma del dativo e dell'accusativo. Per questi casi, oltre la forma principale, ne venne stabilita una secondaria, per lo più abbreviata, che si incorpora col verbo, come particella suffissa. Queste paroline che appariscono sempre in compagnia del verbo, e che anzi non hanno esistenza loro propria, possono chiamarsi pronomi personali congiuntivi. Nella lingua
   (1) Diez. Gramm. Il, 75 segg.