28 CAPITOLO I'RIMO.
Fra questi due canti c'è differenza. Il pruno e più ricco di volgarità, ci rappresenta meglio, ci fa più facilmente indovinare quale fosse la lingua parlata. La frase è italiana, ma è un italiano che ha la pretensione di camuffarsi alla latina il). Il secondo è meno volgare, e pure è scritto un secolo dopo: onde ci è indizio dello sforzo che la letteratura popolare faceva per mantenersi stretta al classicismo latino. Vedete, i cittadini di Modena cantano parole che certo intendevano, ina che certo non parlavano nell'uso comune della vita: si eccitano alla vigilanza e al valore non solo con vocaboli latini, ina con esempi classici, mescolando Troja ed Ettore a Cristo, e invocando con una parola greca la madonna.
Quel canto ci raffigura quasi lo stato delle menti in Italia in quei secoli i dialetti rustici latini hanno preso un grande sviluppo: « ogni anno si fa un passo verso un nuovo linguaggio », ha detto il Lanzi; la lingua parlata, nella sua piena libertà, si trasforma di giorno in giorno; ma a ritardare quello sviluppo rimane una mezza letteratura latina, una letteratura che aspira alle forme del vecchio classicismo, una letteratura alla quale gli Italiani sono affezionati. 1 soldati di Modena non sono più latini, e pure colla parola latina illudono quasi sé medesimi. e mettono la rettorica in luogo del sentimento. Meno di rettorica usa l'autore del ritmo istorico di Lodovico, e la sua lingua si avvicina più, o, forse, si scosta meno dal volgare.
È egli possibile di supporre che queste due fossero le sole poesie composte dagli Italiani nei secoli IX, X e XI? 0 non ci sono piuttosto esse indizio certo di una letteratura nazionale latina perdurante in Italia? non ci sono indizio, secondo la bella osservazione del Fauriel . che le genti italiane prendevano parte agli avvenimenti del loro paese, e che ad esprimere i loro sentimenti adoperavano una lingua che doveva essere ancora intesa, se non dalle infime classi, almeno dalle mezzane? Ilò altri saggi di scritture latine popolari non mancano, ed ognuno sa quanto ancora rimanga da fare in Italia intorno a questo argomento, quanto da dissotterrare nelle biblioteche e negli archivii, troppo inesplorati fin qui. Eppure nella stessa povertà c'è ricchezza. Quanta abbondanza di cronisti! Basta gettare uno sguardo sulla grande Raccolta del Muratori, basta leggere alcune di quelle pagine per farsi un'idea chiara di quell'ingenuo e famigliare latino, che già prenunzia l'arte volgare del duecento e del trecento. Poi canti religiosi, leggende, sermoni, omelie, vite di santi ; tutta una letteratura di chiesa : poi ancora storie, tragedie e commedie in versi, come quelle attribuite al Petrarca e ad Albertino Mussato (2), e un tentativo di romanzo cavalleresco (3), e poesie d'ogni genere, giù giù da Alfano, da Guglielmo Pugliese, da Donizone, da Lorenzo Diacono fino a Pier delle Vigne, che pur cantando già in volgare, satireggia in latino contro la chiesa di Roma (4).
(1) « Le ton, le style, le caractère, le mouvement en sont d'un autre idiome, dont le génie a dominé à leur insù les hommes qui l'ont composée ». Fauriel, op. cit. II, 410.
(2) Sulla commedia dell'eccidio di Cesena, attribuita al Petrarca, ved. un lavoro del signor Gori nell'Arc/i. Stor. Ital. N. 5, Vili. — La tragedia l'Achille, che si disse di Albertino Mussato, pare invece che sia di Antonio Loschi. Cf. Da Schio, Elenco delle opere del Loschi, 131.
(3) Cf. Muratori, Ant. Ital., Diss. 44.
(4) Ved. in Du Méril, Poés. pop. lat. du moyen àge, 163. Eccone un saggio:
Vehementi nimium commotus dolore, Sermonem aggredior furibondi more Et quosdam redarguam in meo furore, Nullum inordens odio vel palpans amore.
In praelatis igitur primo docens figo, Quorum vita subditis mortis est origo, Et malorum omnium corrodit rubigo Per quam grex infici tur, dum serpit serpigo.