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Storia Letteraria d'Italia
I primi due secoli
Adolfo Bartoli
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 552

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a cura di Federico Adamoli

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   origini della lìngua italiana.
   Aggiungiamo ancora uu esempio di provenzale tradotto in italiano:
   31
   Plus vezom de novelh fiorir Pratz, e vergiers reverdezir. Kms e fontanas esclarzir,
   Poi vedcm di novo fiorire Prati, e verzieri rinverdire, Risi e fontane isclarire,
   Auras e vens;
   Aura e venti,
   Ben deu quaseus le yoi jauzir
   Don es jauzens.
   Ben de' ciascun le gioi godire
   Donn' e gaudenti.
   Obeiensa deu portar A mantas gens qui voi amar, E eoveii li que sapcha far
   Obbedienza de' portare A mante genti chi voi amare, E eonvenli che faccia fare
   Faigz avinens,
   Fatti avvinenti,
   E que s guart en eort de parlar Vilanamens.
   E si guardi in corte parlare
   Yillanamenti (I).
   Sono desse tre lingue, o tre dialetti di una lingua sola? Basta la più superficiale cognizione de' dialetti odierni d'Italia per vedere che tra essi c'è assai più di-¦\ersità di suoni e di sintassi (2), che non sia frale tre lingue romane ne'secoli XIII e XIV. E che conchiudere da ciò? Non volendo supporre che l'italiano del secolo tredicesimo e quattordicesimo sia cosi quale noi lo vediamo nato improvvisamente, nato adulto e perfetto, e trovandolo in questi secoli così vicino al francese, così strettamente fratello ai due dialetti della Francia, da farlo parere piuttosto un terzo dialetto che una lingua diversa, noi potremo indurre che questa somiglianza dovesse esistere anco un secolo, anco due secoli, anco tre secoli prima, e che quella medesima forza di evoluzione che condusse in Francia a passare dal latino al volgare, operasse identicamente in Italia. Nè là nè qua vi fu soluzione di continuità tra il latino volgare e le lingue romane. Tutta l'Europa latina avrebbe avuto una lingua sola, che si sarebbe sviluppata contemporaneamente in tutte le varie parti di essa, se non fossero esistite diverse pronunzie e diverse influenze locali.
   Queste cause che produssero i diversi dialetti interni di Francia, di Italia, di Spagna, produssero pure le tre lingue, che si possono considerare come tre grandi dialetti, rispetto ai quali gli altri sarebbero altrettanti dialetti secondarii. Fu già osservato molto giustamente da Scipione Maffei che « i nostri dialetti odierni non altronde si formarono che dal diverso modo di pronunziare negli antichi tempi e di parlare popolarmente il latino » (3).
   Questo ci fa risalire alle lingue prelatine. Le abitudini della pronunzia doverono certo rimanere; nessuno vorrà credere che il latino parlato nelle parti] settentrionali della Gallia suonasse come il latino parlato in Ispagna o in Italia; nessuno vorrà credere che il sistema fonetico fosse uguale dalle Alpi alla Sicilia ai tempi romani più che oggi non sia. « La tenacità di ogni singola nazione, scrive il signor Biondelli (4), nel conservare la rispettiva pronuncia devesi attribuire sopra tutto alla costituzione degli organi destinati alla formazione ed articolazione dei suoni. » Neppur Roma poteva vincere questo fatto fisiologico. In quei luoghi però dove i Romani esercitarono una influenza più profonda e più lunga, anco i suoni della lin-
   (1) Traduzione del signor Galvani. Vedi Ver. delle Bottr. Perticar., 90-91. Ved. pure nella medesima opera un esempio di prosa provenzale tradotta; e dello stesso illustre scrittore 1' opera Novellino Provenzale. Chi volesse vedere un saggio di traduzione della Divina Commedia in lingua spagnuola del Sec. XV, lo troverà in Cambouliu; Histoire de la, Littcr. Catalane.
   (2) Cf. Biondelli, Bialetti Gallo-Italici.
   (3) Verona Illustrata, II, 360.
   (4) Up. cit., Introd. XI, XII.