ORIGINI DELLA UNGI \ ITALIANA.
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Eloquenza dove certo non mancano oscurità stranissime e forse paradossi anche più strani, che farebbero quasi dubitare che quel libro appartenesse a Dante), sono pure alcune parole molto ciliare: « Totum antera, quod in Europa restat ab istis, tertium tcnuit idioma.» Tutta l'Europa latina tenne già una lingua sola; la quale poi l'autore dice, subito dopo, ai tempi suoi tripartita. Queste parole del sommo scrittore del medio evo, e registrate ili un libro dove anche di lingua (1) si parla ex professo, furono forse quelle che fecero concepire al Raynouard il suo sistema, al quale poi egli andò cercando infaticabilmente prove e conferme. E tutte le prove invece da lui raccolte per dimostrare l'esistenza della sua lingua romana, servono a noi che all'esistenza
Il latino rustico era la lingua unica di tutte le provincie romane, sebbene la forza che doveva fare di esso le tre lingue sorelle e diverse, agisse con più lentezza, con più difficoltà, con meno rapida energia in Italia che altrove, non riuscendo per conseguenza a farne la lingua scritta che nel secolo XIII. La coltura italiana rimasta essenzialmente latina non poteva adoperare la nuova lingua. Le nostre città, tuttavia patine delle tradizioni, delle memorie e degli affetti classici fino oltre al tredicesimo secolo ; la Chiesa, che colla preghiera e colla predicazione, continuava, come già notammo, a infonder vita al latino; le leggi e la politica che parlavano la vecchia lingua (2), tutto contribuiva a ritardare fra noi la manifestazione scritta dell'idioma volgare. Il volgo non sapeva scrivere. Canti popolari nel vero senso della parola, canti che emanassero dalle viscere della nazione, trasmessi di padre in figliuolo forse non erano nell'uso latino: l'epopea impersonale, la tradizione poetica della nostra storia primitiva mancavaci : questo lavoro inconsciente del genio popolare fu impedito forse dalla civiltà e dal positivismo latino. In Gallia le tradizioni de'vecchi bardi si rinnovarono, ringiovanirono al contatto prima de'Franchi e poi de'Normanni: « Celebrant carminibus antiquis originem gentis conditoresque. » E cosi la Francia ebbe le sue cantilene e le sue epopee; mentre sulla terra d'Italia non sbocciarono questi fiori della giovinezza. Da chi dunque poteva essere scritta quella lingua che i dotti, che la Chiesa, che le leggi sdegnavano? Noi, quindi, la vediamo, forse, apparire fuggevolmente nel secolo XII, nella iscrizione del Duomo di Ferrara (1135) e nella lapide dell'Ubaldini (1184) ; poi tacersi di nuovo fino al secolo seguente.
L'iscrizione ferrarese, quale è data dal Baruffaldi (3), è questa .
Il mile cento trenta cinque nato
Fo questo tempio a Zorzi consecrato
Fo Nicolao scolptore
E Glielmo fo lo auctore.
regu leurs caracteres spécifiques par l'empreinte des lieuoc, des circonstances et des an-técédents. »
(1; Diciamo anche, alludendo all'opinione di uno scrittore moderno, molto illustre, il quale sostiene che in questo libro non si tratta di lingua italiana nè punto nè poeo.
(2) Vedi Ozanam, Documents inédits pour servir à l'histoire littéraire de l'Italie; pag. 57-73.
(3) Nel Ragionamento che serve di introduzione alle Rime scelte dai poeti Ferraresi fUPTOLi. Letteratura Italiana. 5