4 CAPITOLO III.
sandro VI il suo cappellano, in Venezia il ciambellano, e nell'imperatore il suo condottiero .(1). Fidente nell'immensa sua astuzia, presumeva di mettere in giuoeo a proprio vantaggio tutte le forze d'Italia e quelle di Germania e di Franeia: c a ehi gli rappresentava i perieoli del chiamare gli stranieri, rispondeva ehe il Moro avrebbe anehe saputo spazzarne la easa. Pur troppo, la spazzatura, eome prevedeva l'orator fiorentino, gli dovea rieadere sul eapo. (.'Combattuto dai Franeesi già suoi alleati, tradito dagli Svizzeri già suoi protetti, abbandonato dall'imperatore suo parente, inviso a tutta Italia, ehe si confortava quasi di additare in lu la eausa suprema delle proprie sventure, egli s'avviava nel 1499 a seontare le sue presunzioni e la debolezza d'Italia nel eareere di Loehes. 11 dueato d'allora in poi vien palleggiato per più anni tra i Franeesi e i figli del Moro, ombre di jpninlipi, a volta a volta protetti e dominati dagli Svizzeri, da Spagna e dall'impero, finehò nel 1535, invano reluttante la Franeia, e invano reluttanti gl'Italiani, clie in Milano ravvisano il più sieuro baluardo della loro indipendenza, osso ricade defini- , tivamente alla Spagna, ehe vi si mantiene per eirea due seeoli.
L'Italia di mezzo gravita da un lato intorno a Firenze, dall' altro intorno a Roma.
Firenze, prima repubbliea, poi prineipato repubblicano, tanto povera d'armi quanto rieea di aeeorgimenti politiei, non era fatta per vagheggiare e meno ancora per eompiere troppo grandi conquiste. Il dominio o 1' egemonia sulla Toscana, un'ingerenza piuttosto eommereiale che politiea su una parte di Romagna : eeeo fin dove arrivavano le sue più alte aspirazioni. Ed era naturale. La veeehia città guelfa, che l'unitario Alighieri avea spinto in csiglio tra i signorotti ghibellini dell'Italia superiore, aspirava sopratutto alla sua indipendenza, alla sua libertà, agli interess1 vieini c suoi propri,
Sul prineipio del einqueeento, allorquando due principi della easa medieea ebbero ad oceuparc, eon poea interruzione, il trono pontificio e tutto il ecntro d'Italia venne eosì a dipendere dalla volontà di una famiglia -fiorentina, Firenze si vide inaspettatamente aperta la via a vertiginose altezze politiche. E fu in quel momento ehe il Machiavelli formulò netto il suo ideale, equamente eontempe-rato dell'ideai guelfo, eh'era l'indipendenza, e gli veniva ispirato in ispeeie dalla tradizione cittadina, e dell'ideai ghibellino, eh'era l'unità, e gì veniva ispirato dall'ammirazione di Roma antiea e dalle condizioni dell'Italia nuova. Firenze ebbe eoi Maehiavell l'idea vera, ebbe il senno politieo; ma non ebbe poi l'energia per effettuare quell'idea, e rifiutò l suo profeta. L'oeeasione passò, senza ehe i Mediei imbelli sapessero produrre il Principe-sospirato dal Maehiavell ; senza che i Fiorentini sapessero far taeere le pieeole, ma vivaei loro gare, per amore d' una patria più grande. L'idea del MaehiavolL fu strozzata e svisata; fu applicata dai Mediei debolmente, e per uno seopo minore: quello di assodare il nuovo dominio e di allargarlo a tutta Toseana. Certo anehe così qualehe bene fu ottenuto: e sen-tironlo in ispeeie le eittà prima dipendenti da Firenze, ora pareggiate quasi nel loro destino all'antica dominatrice. Lo sentì tutta Toseana, che pui dovendo tollerare ;1 patrocinio di Spagna, ebbe coseienza di formare uno stato florido e abbastanza potente. Molti soprus usarono i nuovi signo: . ; ma moU anehe ne punirono: e giusto e severo ei dicono i eontemporanei (2) in ispet;e quel duea Alessandro, che poeti e storiei si divertirono allora e poi a vituperare un po' troppo. Cosimo (1537-1574), marito d'una Toledo, fu bensì devoto a Spagna; ma della devozione seppe giovarsi a vantaggio del suo stato. Nel 1543 ebbe le fortezze di Firenze e di Livorno, rimaste sino allora eome pegno in mano degli Spagnuoli : c nel 1557 ottenne, sia pur eome feudo di Spagna e dell impero, Siena e gran
(1) Burckhardt, I, 55.
(2) Landello, P. II, Nov 15 e 16.