LA VITA POLITICA ITALIANA DEL CINQUECENTO. Il
parte del suo territorio. Se Francesco Maria (1587) fu reggitore fiacco, anzi spregevole; il fratello di lui, Ferdinando (1583-1609), riprendeva le buone tradizioni amministrative di Cosimo, c iniziava una politica diversa, scostandosi da Spagna e soccorrendo Enrico IV, al quale dava la figlia Maria (1G00), e procurava il favore del papa.
Cosi quell'unità e quella forza politica che la Spagna e l'impero aveano aiutato a formarsi, si ritorcevano, alla prima occasone, contro di loro.
A Roma, la città eterna, che la coltura classica risorgente additava come il centro naturale della nazione, i papi della seconda metà del secolo decimoquinto si comportano precisamente come gli altri principi 'taliani. Loro scopo confessato o sottinteso è di riacquistare contro i tirannellì delle singole città il dominio diretto dell'antico patrimonio di S. Pietro, e di estender poi la loro egemonia su tutta l'Italia.
Per questa strada si mise apertamente Alessandro VI, adoperandovi il braccio e la mente del figliuolo Cesare, il quale, prima coll'aiuto di Francia, poi con armi proprie e coi tesori della Chiesa, riuscì ben presto ad avere quas. tutta Romagna. Nò la sua ambizione si limitava agli antichi stati papali: egli tenea d'occhio Siena, Lucca, Pisa, minacciava Firenze e papa Alessandro meditava di rivendicare a favore di lui i diritti della santa Sede sul regno di Napoli. Aut Caisar aut nìhil ! era il motto del duca Valentino, che vi esprimeva le-tendenze suo proprie e quelle di tutta l'età sua.
Non fu Cesare, ma l'opera di lui non andò perduta. Ne godette i frutti un grande nemico dei Borgia, Giuln II, che strappò ai Veneziani il rimanente di Romagna , ridusse all' obbedienza Perugia e Bologna (1506), colle sue grandiose idee d indipendenza e di egemonia destò l'entusiasmo d'Italia, e lasciò abbastanza consolidato ai successori lo stato,
Leone X (1513-1521) con mezzi maggiori, ma con minor fede c ardimento, si spinse innanzi per la stessa via: ebbe il ducato d'Urbino, vagheggiava per il fratello Giuliano un forte stato composto di Parma, Piacenza, Modena e Reggio, e al nipote Lorenzo, già capo del governo fiorentino, già investito del ducato urbi-nese (1516), volea dare il regno di Napoli, anzi ii regno d'Italia.
Mai temp serano fatti più grossi che mai, nò le astuzie medicee valevano a frenare la prepotenza oramai incontrastabile di Spagna. Clemente VII, cogli accordi di Barcellona (1529), finì col gettar?, disperatamente nelle braccia del nuovo gigante, al quale con suo grave pericolo avea prima tentato res^tere. La guerra contro l'Islam, e la lotta contro i protestanti finirono col vincolare quasi necessariamente l'azione dei pontefic con quella dell'imperatore, re d'. Spagna.
Pure, sebbene i papi a questo modo diventassero i cappellani dell'imperatore, ò anche vero che la loro autorità materiale e morale s' era in breve tempo di molto rialzata: e più d'uno di loro potè tener testa al suo alto protettore. Ciò si vide in ispecie ai tempi del focoso Paolo IV (Caraffa), che non temette di allear., con Francia, di aiutare i Guisa nelle loro pretese sul regno di Napoli, come eredi degli Angioini (1557), e di favorire i difensori d: Siena. Il duca d'Alba , nuovo Borbone, moveva bensì da Napoli su Roma; ma giunto alle porte dell'eterna città, si peritava d'entrarvi: e v'entra solo più tardi, assolto e benedetto dal papa. I successori del Caraffa s'occupano, più che altro, a regolare l'amministradone dello stato, a migliorarne gli ordinamenti giudiziari, e a rialzare moralmente l'autorità pontificia: fu questo l'intento che specialmente si proposero Pio V, Gregorio XIII, e Sisto V. Ma ecco che dopo il breve pontificato d: tre papi (Urbano VII, Gregorio XIV, Innocenzo IX) devoti a Spagna, contro l'universale espettazione viene eletto Clemente VIII (1592-1605), favorevole a Francia e alle aspirazioni degli Italiani per la propria indipendenza. Ad onta dell'opposizione spagnuola, egl occupa Ferrara nel 1597, e compie così le antiche aspirazioni di Uìulio II; favo-