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Capitolo i.
Non ò tuttavia ben certo ehe la Spagna sarebbe riuscita ad imporre a mano a mano il suo dominio o la sua egemonia a tutta Italia, se essa anche dinasticamente non si fosse unita all'Impero, raccogliendo così anche le ragioni di questo sull' Italia media e settentrionale. Era saldo divisamento di Ferdinando il cattolico di lasciare Spagna e Napoli a Ferdinando fratello minore di Carlo, affine di impedire che il futuro imperatore fosse anehe signore di Spagna; ma dopo la vittoria de' Francesi a Marignano egli si persuase della necessità, ehe per far argine a Franeia fossero unite le corone tedesca e spagnola sulla testa di Carlo (1516), (1). Fu adunque l'opposizione alla Francia e al partito francese in Italia ehe veramente determinò la grande resurrezione dell'Impero per opera di Carlo V : essendo quas; certo clic la corona imperiale non gli sarebbe toccata, s' egli fosse stato un semplice arciduca d'Austria.
11 nuovo Carlo Magno, il nuovo Augusto, già padrone d'Italia, fu incoronato a Bologna 1 24 febbrajo 1530 da papa Clemente, ehe così sanciva la fatale grandezza. 11 partito ghibellino d'Italia, che aveva esultato per la rotta di Pavia (2), era tutto con lui e lo consigliava a secolarizzare gì' stat papali, e a fissare la sua sede in Roma (3). .Sulla fine della sua gloriosa carriera, Cario V re di Spagna possedeva in Italia Napoli, Sicilia e Sardegna, rette da 'icerè; Milano, con un governatore; signoreggiava 1 Finale, proteggeva Genova con Corsica e Capraj.i, teneva presidii in molti luoghi dell'antico territorio di Siena, ispirava la pobtiea del papa e di Toscana, costringeva Venezia ad allearsi con lui nella guerra contro i Turchi; teneva,, infine, al suo soldo il duca di Savoja. Tutta Italia era sua: e qucll' urp'tà, che gli Italiani non aveano saputo conquistarsi, veniva loro imposta per tal modo dall'onnipotente vicino.
Nò queste condizioni sostanzialmente mutarono, allorquando, colla abdicazione di Carlo V, Spagna restò sola a dominare l'Italia. All'ideale impc:'' ale di Carlo V sottentrò quello dell'universale monarchia, vagheggiato da Filippo II. Ma, insieme col danno d'un governo più tirannico e meno illuminato, ci fu adora questo vantaggio: ehe l'Italia ghibellina si destasse dal suo sogno imperiale, e ripensasse al valore dell'indipendenza e delle libertà perduto; ma tuttavia senza più scordare l'importanza della gustata unità.
Ed ottenere questa unità finale, od ottenere almeno delle unità sempre maggiori, senza però mai rinunciare all'indipendenza, sarà il compito delle età successive.
È comune ai nostri storici il lamento, ehe il secolo deeimosesto, tanto glorioso per le lettere e per le arti, abbia invece segnato la nostra irreparabile-decadenza litica. I giudizii più sfavorevoli sull'Italia del cinquecento sono stati pronunciati, nella prima metà del secolo nosti'o, da quella generazione che reagiva contro la rivoluzione francese, frutto supremo del rinascimento neolatino, e che specialmente in Italia e in Germania fu preoccupata dall'idea delle nazionalità da ristorare dopo quel grande conguagliamento eosmopoiuloo prima della repubblica, poi dell'impero napoleomco. Gli storici italiani, e con loro i poeti e romanzici della prima metà del nostro secolo, giudicando il passato eolle violente preoccupazioni del presente, intesero ad illustrare e ad esaltare e talvolta a colorire con tinte fantastiche o false due fatti in ispecie: la lega lombarda vincitrice a Legnano, e l'assetAO di 'Firenze; i due fatti più splendidi, senza dubbio, in cui si rivelasse l'amore degli Italiani per la loro indipendenza: ma insieme dimostrano un'ostinazione quas: cieca nel disconoscere la forza degli avvenimenti, e i vantaggi d'una grande unità.
Noi certo non vogliamo condannare l'amore de' nosti . antich_, amore ehe fu
(1) De Leva, T, 227.
(2) Guicciardini, Opere inedite, Vili, 189 ; « I Ghibellini di Romagna n'hanno fatto allegrezza grande ».
(3) De Leva, II, 529,