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Storia della Letteratura Italiana nel Secolo XVI

U.A. Canello
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 327

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a cura di Federico Adamoli

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   LA VITA POLITICA ITALIANA DEL CINQUECENTO. Il
   poi nelle più remote contrade della città, dalle quali non potevano uscire che in certi giorni e a certe ore. Ma nel 1440 il magistrato lucchese credette buono di icrinettere ch'esse potessero andarsene per la città tutti i giorni della settimana ; e poco dopo, che frequentassero anche le stufe pubbliche, specie di bagni-trattorie, tenuti per lo più da Tedeschi (1). Ancora nel secolo XVI (1534), dolendosi il magistrato di Lucca, che le meretrici, per gli strapazzi fattine, lasciassero la città, u le favoriva di privilegi non pochi e fin quello di cittadine originarie, tanto am-K bìto » (2).
   Le cure delle auto ìtà furono coronate d'csjto fin troppo felice, cosi che in breve si dovette cercare un imedii contro il rimedio stesso. A Roma, nfatt., verso il 1480, l'Infessura ne contava non meno di G800 pubbliche (3); e non molto dopo, a Venezia, ve n'erano 11,650 (4). Di Napoli, scrive il Badoero, oratore veneziano, in una sua relazione del 1557, chc gli uomini vi sono dediti alla lussuria u e le donne quasi tutte meretrici » (5); mentre in Sicilia, dove le donne si tengono chiuse in casa, u elle sono grandi meretrici con parenti e servitori » (6). 11 meretricio, tanto desiderato e promosso dai legislatori del secolo XV, cominciava oramai ad essere una piaga sociale: migliorati i costumi, avviata la formazione della famiglia, la meretrice diventava già uno scandalo, come avea cominciato a diventare il pederasta nel secolo precedente. E questo fatto è già una bella prova in favore della crescente moralità. Sulla fine del secolo decimosesto, nel fervore della controriforma cattolica, s. tentò di porv un freno legalmente. Pio V (1566-1572) le volle espulse da Roma: esularono; ma se ne videro ben presto così tristi eifetti, che &i dovette richiamarle, pur relegandole in un solo quartiere della città (7). A Venezia, dove nsieme coll'indipendenza italiana del secolo XV, s'era conservato anche più florido il costume di quell'età, il meretricio ebbe e conservò per tutto il cinquecento, e anche più tardi, straordinario sviluppo. E a Venezia, dopo che Roma lo respinge e perseguita, trova rifugio alla sua staccata corruzione Pietro Aretino, figlio d'una prostituta e fratello di prostitute; prostituto d'anima e di corpo egli stesso.
   Ma ciò che disti; iguc nettamento il cinquecento fin dagli esordii, e lo stacca dal secolo decimoquinto, è il costituir!,i, per entro la classe delle prostitute, di una specie di aristocrazia, alla quale conducevano la bellezza, la ricchezza, la nobile origine, e più d' tutto la coltura. La iyita s'era venuta raffinando sotto tutti i rispetti: la prost ;uta volgare e ignorante non bastava più: s< cercava una donna, che, oltre quelle del corpo, avesse anche le attrattive dello spirito; che fosse un'etèra, un'am;ca, e non desse tuttavia i pesi e la responsabii tà d'una mogi'?;. Alle corti, il vecchio buffone del secolo decimoquinto non bastava più, pareva insipido: s volle il cortigiano : e gli uomini di corte, i gentiluomini, non si contentarono più della umile meretrice: vollero la cortigiana.
   Quando apparisce per la prima volta, qua,0* ad attestare la solenne affermazione della cosa, la nuova parola? Il Burcardo, un buono e freddo alsaziano, maestro di cerimonie alla corte papale ai tempi dei Borgia, scrive ne' suoi Diarii (1502): u In sero fecerunt coenam cum Duce Valentincnse in camera sua, in palatio apostolico, quinquaginta meretrices honestae, cortesanae nuncupatae » (8). La cor-
   (I) Bandi lucchesi, p. 378.
   Cantù, III, p. 40
   (3) Burckhardt, II, 171; il quale, a torto ci sembra, dubita dell'esattezza della cifra.
   (4) Filiasi, Memorie storielle, HI, 262 f citato dal Cantù, III, 407,
   (5) Albèri, Relazioni degli ambasc. venez., I, Ili, 212.
   (6) Albóri, 1, III, 208.
   (7) Cantù, III, 490.
   (8) Presso P. Villari, Niccolò MachiateXli e suoi tempi, I, 244. Cfr. anche il Cantù, III, 20. — Ì1 3audello, parte Iti, nov. XXXI, scrive: «V'e poi un'altra cosa in Vinegia, che ci è un infinito numero » di puttane, ch'eglino, come anco si fa a Roma e altrove, chiamano con onesto vocabolo cortigiane». E per Roma, cfr. la nov. LI, parte II, nel proemio,,