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Storia della Letteratura Italiana nel Secolo XVI

U.A. Canello
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 327

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a cura di Federico Adamoli

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   capitolo xiv.
   Questa lingua non poteva più essere il latino, troppo universale rispetto allo spazio, troppo ristretto rispetto alle elassi sociali clie se ne potevano valere; questa lingua non poteva surrogare i cento volgari regionali d'Italia: questa lingua doveva avere la popolarità dei volgari e al tempo stesso la universalità del latino: doveva essere la lingua italiana.
   Così volevano i fatti recenti; così richiedeva il suo storico sviluppo.
   La lingua italiana, in effetti, deve la sua prima costituzione a uno svolgimento d'ordini politici perfettamente analogo a quello chc si ha nel cinquecento essa comincia la sua vita letteraria all'età degli Svevi, che, come vedemmo, restaurando tra noi il principio unitario imperiale a danno dei piccoli stati indipendenti guelfi, ridestava l'idea della nazionalità italiana.
   Fu in quell' età che gli uomini colti di tutta Italia affluendo alla corte del grande Federigo, e la corte di Federigo trasferendosi di continuo da Palermo a Napoli, a Bari, nell'Italia media, nell'Italia supcriore, si venne a costituire un grosso nucleo d'Italiani educati a considerare nel loro pensiero gl'interessi di tutta Italia, e però intenti a trovare un linguaggio che a tutta Italia servisse. C' era il latino, che serviva per le lettere officiali e per le cronache numerose o anche per la satira contro il clero; ma il latino, così allora come nel cinquecento, non parve lingua abbastanza nazionale, che mettesse i colti in diretta comunicazione cogl'incolti; e così i cortigiani di Federigo e poi di Manfredi, quando vollero essere intesi da tutti, quando in ispecie vollero essere intesi dalle donne, tentarono di scrivere quei parlari cortigiani, assai vicini fra loro, che già da tempo s' erano venuti costituendo accanto ai rispettivi volgari di Roma, di Napoli, di Bari, di Bologna, di Padova e se ne distinguevano per una certa abbondanza di voci e di forme latine o bassodatino e provenzali, e soprattutto per la scolta del lessico proprio (1). Qucsl l parlari cortigiani, propri d'una classe di persone che di frequente comunicavano fra di loro, e costituirono quasi una classe sola al tempo di Federigo, rappresentavano la parte d'Italia meglio matura ai nuovi des„ ni.
   Così, mentre nelle diverse regioni italiane il volgo e i mediocri, e per il volgo e per i mediocri alcuni poveri frati o qualche giullare;,, tentavano di scrivere e adattare alla poesia i singoli parlari municipali, alla corte di Federigo si tentò di scrivere e di adattare alla poesia un parlar aulico ose llante ch'era proprio d tutti i cor-tkgian. d'Italia affluenti a quella corte, ma più teneva del colore d.iomatico siculo e pugliese, per ciò appunto che quei cortigiani fossero per la maggior parte riculi o pugliesi, e in Puglia e in Sicilia per norma si trattenesse quella corte.
   Questa lingua cortigiana e poetica avea bisogno, per v vere, d'essere r isanguata con elementi popolari che le dessero in profondità ciò ch'essa già aveva in generalità; e Firenze, il più forte e il più colto tra i munic pi guelfi che alla rovina degli Svevi e in generale dell'idea ghibellina vennero su maggioreggiando ir Italia, fu la città destinata al grande ufficio di proseguire e compiere l'opera della formazione d'una lingua naz. onale.
   Le poesie auliche del periodo siculo ti fecero ben presto conoscere anche in Toscana, dove i trascrittori leggermente qua e là cercarono di accostarne il linguaggio a quello lor proprio; ed oscillando dapprima tra questo linguagg-j aulico toscanamente trascritto e le forme auliche e volgari loro proprie municipali, poetarono i toscani d'amore, come i siculi, e di moralità, come i siculi non avevano fatto; e quando poi tentarono la prosa, sciolf dalla soggez me dei modelli mcri-dioniali, più liberamente s'abbandonarono al loro dialetto (2).
   (1) Cfr. A. Gloria, Del volgare illustre dal secolo VII fino a Dante; Venezia, ISSO (Dagli Atti dell'Istituto Veneto). 11 Gloiia ha avuto il merito non piccolo di richiamare l'attenzione sull'esistenza già antica al tempo di Dante di uno o più volgari illustri viventi accanto ai volgari del popolo.
   (2) Questa é press'a poco la dottrina che sulla formazione della lingua letteraria italiana professa ed ha professato il prof. N. Caix , nel lavoro citato sul principio di questo paragrafo, nell'altro col titolo: La, formazione degli idiomi letterari in ispecie cieli' italiano , inserito nel voi. XXVII della