la lingua e le relative qu1sti0ni.
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D'allora in poi, lo tendenze principali degL scrittori toscani, e particolarmente fiorentini, furono due: qualcuno, strettamente legato alle idee politiche e sociali del suo municipio, si stringeva sempre più al dialetto nativo; altri, di più elevato sentire e pensare, e malcontenti della loro città, o esiliati come ghibellini dai guelfi prevalenti, pur attenendosi, ìispotto alla fonetica c a grandissima parte della morfologia e della sintassi, al loro nativo parlare, attinsero liberamente, e all'aulico preesistente e al latino e al parlare de'migliori di tutta Italia, cioè di quegli aulici dispers dopo la caduta degli Svevi, Questa seconda tendenza trovò i due massimi suoi rappresentanti in Dante e in Petrarca; la prima, con qualche temperamento suggerito dallo studio del latino, fu portata a perfezione dal Boccaccio. E così venne determinata la natura del nostro linguaggio poetico e d: quello della prosa.
Per tal modo la nostra lingua venne a raccogliere n se sia le ragioni del linguaggio aul .co sorto al tempo dogli Svevi, e sia quelle del più colto c gentile tra i parlali municipali; le ragioni d'una classe sociale dirigente, e le ragioni di tutto il popolo d'una c'xtà: infine, le ragioni dei ghibellini e quelle dei guelfi.
Se il centro politico e ntellettuale d'Italia s. fosse stabilito sin d' allora a Firenze, e Firenze fosse poi stata per l'Italia ciò che Parigi fu per la Francia, il volgare fiorentino, che sotto l'azione degli scrittori s veniva arricchendo e insensibilmente trasformando, sarebbe divenuto stabilmente la lingua comune d'Italia; e più prop.''amente, la lingua comune dei colti Italiani, sorta sulle basi che abbiamo indicate, .fi sarebbe di necessità imposta ai parlanti dalla città capitale e accentratrice d'ogni nostra virtù; e l'unità della lingua sarebbe stata un fatto compiuto, e intorno ad essa s. sarebbe evitata ogni quesvone.
Ma noi sappiamo che Dante e il Petrarca morirono nell'osiglio ; e che il solo Boccaccio fin tranquillamente i suoi giorni nella città il cui parlare egli avea professato di scrivere nel Dveamerone: Firenze era troppo piccola per contenere tutto 1 pensiero e tutta l'attività intellettuale d'Italia. E le tendenze municipali ben presto prevalsero negli scrittori fiorentini e toscani, come mostrano il Sacchetti, peggio il Burchiello e poi 1 Pulci e lo stesso Lorenzo de'Medici. L'Alberti e il Poliziano tentarono di reagire contro questa tendenza popolaresca del linguaggio della prosa e dei versi; e Lorenzo accortamente notava cIte il disprezzato volgare u ognora si faceva più elegante e gentile; e potrebbe facilmente nella gioventù » e adulta età sua venire ancora in perfezione, tanto più se il -fiorentino impero v venisse ad ampliarsi e a distendersi maggiormente (1) ».
Così la lingua, al cui colore nazionale Dante avea tanto contribuito, era tornata quasi del tutto municipale, e il posto e le funzioni dell' ia.>ana erano usurpati dal latino, che sempre più si rifaceva pulito ed elegante. Mancato l'ordinamento poetico unitario degli Svevi, smarrita la memoria di quell'età gloriosa che invano i ghibellini aveano sperato di veder rinnovare da Enrico di Lussemburgo, offuscata insomma 1 idea nazionale d'Italia, era mancata anche l'idea della sua lingua, e su di essa avevano prevaluto da un lato l'incoloro e universale latino, dall'altro i volgari mun.c.pau.
Ma un ali,o di vita nuova percorreva l'Italia; e l'idea unitaria che i nostri principi e i nostri popoli non aveano saputo svolgere e attuare da sè, si svolse tra noi e si venne maturando per impulso esteriore; i municipi, i p-scoli state-relii, g. stati minori vacillano e cadono, per far largo ad altr sempre più comprensivi, sempre meglio preparati a vagheggiare o ad attuare quell'unità.
Nuova Antologia, e finalmente in un poderoso volume recentissimo su Le origini della lingua poetica italiana (Firenze, 1830), al quale terrà dietro un altro sulle origini della lingua prosaica —Nel determinare la quantità degli elementi meridioniali o non toscani in genere entrati a far parte dell'italiano si potrà tuttavia, come lia fatto il .D'Ovidio (Saggi critici; Napoli, 1879), dissentire dall'egregio professore di Firenze Per conto nostro vogliamo avvertire, che di quanto abbiamo detto sulla natura del parlare aulico alla corte degli Svevi, potremmo dare, se lo spazio ce lo consentisse, più d'una provp. desunta dallo studio delle rime.
(1) Commento alle Rime; citato dal Crivellucci, pag. 13.