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Storia della Letteratura Italiana nel Secolo XVI

U.A. Canello
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 327

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a cura di Federico Adamoli

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   la lingua e le iìeeaiive qu1sti02u.
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   colla differenza che il primo spesso latineggia, mentre .1 secondo, pur sempre cercando l'eleganza, è più popolare.
   L' Ariosto che nella prima ed aione del suo Furioso s' era lasciato sfuggire molti lombardismi di fonetica e di lessico, se ne liberò nella seconda e(' zione, ajutato probabilmente dalla pratica del fiorentino, acquistata, oltrecchè in qualche tempo passato a Faenze, colla conversazione di Alessandra (1). Ma chi confronta la lingua del Furioso con quella dell 'Innamorato rifatto dal Berni, scorge subito, che, pur studiando il fiorentino, l'Ariosto ha saputo trasceglierlo e adattarlo all'uopo suo; ned egli schiva, quando possa cadere opportuno, il latii smo nella parola e nella frase: ma a tutti gli elementi della sua lingua sa dar ordine c lume porche la fantasia 1 inpida gl suggerisce i nessi e i costrutti. Più italiana, cioè più generica e meno propria è la lingua del T'issino, colorata qua e là di voci vicentine (2); e la stessa tendenza più italiana che fiorentina o toscana ci par <3 vedere nell'Alamanni e in Bernardo Tasso. La lingua cortigiana, solenne, inamidata talvolta ma pur sempre sicura, s vede specialmente nel Cortigiano del Castiglione, dove non mancano i lombardismi confortati dall'analogia latina (3), e nelle novelle del Bandello che liberamente ammette non solo voci lombarde ma anche frances quali comunemente si usavano allora tra i gentiluomini italiani. T. Tasso pare miri a contempcrare l'au co e l'italiano fiorentineggianti in una lingua supeiiore, tutta grave e composta e solenne, ma che tuttavia non riesce a sfuggire lo stento e a nascondere l'intrinseca povertà (4).
   Così s disegnava il moto ascendente della lingua italiana, tendente a farsi sempre più universale e a sciogli.irta dalla cinta d'un municipio qualunque per diventare la ngua dei colti di tutta Ila nazione. Ma a questo movimento verso l'universale si contrappose specialmente tra i Fiorentini un movimento opposto, di storici qui oscillano tra il crudo volgarismo e il crudo latin imo. Il Machiavelli è portato dalla sua natura al linguaggio del popolo, ma dall'altezza della materia trattata e dagl esemplari latin i che ha innanzi, si lascia persuadere a molti e molto dur latimsm.' nelle voci c nei costrutti. Il Guicciardini, invece, è più italiano: la sua lingua nativa, piuttosto che il volgare fiorentino, si direbbe esser
   (dovere, liei dialetti dell'alta Italia còglier cognèr, v. Mussafia, Beitrag sur Kunde ecc., pagg. 98,109) I, VII, 02, G8, XIV, 12. Abbondano le forme toscano-italiane littizie, come gioglia e noglia (gioia e no-ja, per analogia di foglia di fronte al foja dell'Italia supcriore) 1, XI, 16; baglla abbaglia (abbaja) I, VI, 63, 66; gaglia (gaja agg.) I, 1, 32 ; e cosi vi abbiamo incontrato piaccia per piazza, ecc.
   (1) I lombardismi rimasti nel Furioso sono assai pochi ; al momento non ricordiamo che un veg-giare (X, 49) per vegghiave o vegliare usato in prosa anche dallo Speroni : e il solito patrone (XVIII, 130) Nelle commedie invece essi sono alquanto frequenti. Così nella Scolastica (che del resto fu lasciata ncompiuta dall'amore) si legge : ai èva* no dicèvamo coll'accento veneto-lombardo, che tuttavia s'ode anche in bocca del volgo toscano ; pidria per imbuto, ecc. Ma nella Cassarla stessa (redazione in proso) si ha: « radice del mio cuore », che è frase tutta veneziana (Atto I, scena 4 in fine). Un raffronto del testo delle commedie che abbiamo in prosa e in versi, mostra che nella prima redazione abbondano i latinismi e volgarismi crudi, surrogati nella seconda da modi della lingua comune.
   (2) Cosi contengo per devo è nc.[YItaliu lib. c. III ; e caccia per cazza, presunto toscaneggia-mento di voce veneta, è nel c. XV in uu luogo riferito qui addietro a pag. 131.
   (3) Vedi più innanzi, a pag. 319. Forme che sanno di lombardo volgare, senza aver conforto nello cor ispondenti latine, sono poi in questo libro i continui dirla, saria e persino porla (potrebbe) che tuttavia sono normali nel Petrarca; un venezianismo, « le manichea corneo » (non corneo, come hanno le stampe) del lib. II, ora a gu.nio, dette cosi perchè sino al gomito stringevano il braccio e ne rilevavano le forme; e di lombardo sa il rao quarta sera per « ora è la quarta sera ». Nel titolo stesso del Cortegiano c'è qualcosa di lombardo : i Toscani avrebbero preferito Cortigiano.
   (4) La lingua del Tasso fu acremente censurata dal Salviati nella Stacciata prima e nella Risposta air Apologia, dove si sostiene che nella Ger usalemme sono straniere (cioè non toscane) la maggior parte delle voci, e propriamente pedantesche (cioè cattivi latinismi), o lombarde (cioè barbarismi). Vi si accusa poi il Tasso di usare continuamente : serpei e, torreggiare, scuotere, riscuotere, precipitare, la guarda, breve, trattar l'armi, mattutina, notturna, vetusto, ahi, capitano, legge il cenno , vide e vinse, augusto, diadema, lance per bilance, fora, ostile, mercare , susurrare : alcune delle quali voci pur sono pedantesche; e in moltissimi luoghi gli si rimproverano ridondanze e improprietà nel dire. Vedi specialmente a pag. 422-5 voi. V, delle citate Opere di T. Tasso, Firenze, 1724.