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capitolo xii.
il quale scriveva òmo, ógni, composto, forse,, tutti con o largo, mentre il fiorentino diceva: uòmo, e poi ógni, compósto, fórse, cou o stretto. In altri casi il Tris-sino affermava d'essere anche troppo firentino, contraddicendo l'uso generale italiano, come quando scriveva: pórre póse mèco coi Fiorentini, di fronte al porre, ¦pose, mèco delle altre regioni d'Italia.
Rincalzò e corresse e ampliò le sue novità ortografiche il Trissino nei Dnbhi grammaticali, dove, in omaggio a un ipotetico uso greco, propose di segnare con o) non più l'o largo, ma lo stretto; e insieme di segnare con k il eh in chiama, chiede e simili e con lj il suono schiacciato del l (gli). Tocca poi della questione generale, e afferma che u quell'uso è veramente migliore, che è dagli eruditi laudato e ricevuto (1) ».
Contraddissero i Fiorentini e i Toscani, alcun con ragioni, altri con ingiurie ; e il Trissino rispose nel 1529, facendo pubblicare una sua versione del libretto dantesco De vulgari eloquio, nel quale, come tutti sanno, si sostiene che nè il fiorentino nè nessun altro dei volgari italiani ha il diritto di dirsi l'italiano comune; il quale invece è una lingua d'elezione, sorta nelle corti, specie in quella di Federico e di Manfredi, e rappresenta ciò che hanno in comune tutte le provincie italiane, e che nessuna provincia o città integralmente possiede; e insieme dèlte fuori il suo Castellano, nel quale, per bocca di Gio. Ruccellai castellano di 8. Angelo, ribatte gli argomenti de'Fiorentini e meglio determina la piopria dottrina.
Il pri.no e più serio oppositore era stato il Martelli (2), l'argomentazione del quale si riduceva in fondo a questo s llogismo: Tutte le lingue pi na di essere scritte furono parlate; ma i nostri primi scrittori furono fiorentini; dunque hanno scritto fiorentino, e la loro (e nostra lingua) è da dire, non italiana, ma fiorentina.
Non era difficile confutare siffatto discorso; e il Ti ss io lo confutò perfut-tamente. Ammette egli la maggiore, ma nega ia minore; e cita poei anteriori a Dante, nativi di Sicilia, di Puglia e di Bologna. E poi Dante e Petrarca e Boccaccio, benché fiorentini, avrebbero potuto, al pai ti altri parecchi, scrivere in lingua non propria, come difatti pare al Tr ssmo che sia avvenuto, trovando egli maggiore analogia tra la i.ngua di Dante e quella del GuinicÉui e dei Siculi, che non tra quella ancora di Dante e quella dei volgari fiorentin poster )ri, quali il Burchiello, B. Alberti e il Pulci. Dante stesso, del resto, affermava d non voler scrivere nel volgare di Firenze. — Ma pure concedendo al Martelli che Dante abbia usato molti volgarismi di Firenze, il Petrarca ha fatto diversamente; nè si leggono nel suo Canzoniere i teste, i costinci, i costì, i cotesto, i guata, gli allotta il suto, che sono fiorentini e che Dante ha adoperato. Il Petrarca (dice il Trissino per bocca del Ruccellai) u fu schifo della particolare nostra ngua (3) » ; e di tutti i vocaboli usati dal Petrarca appena un decimo sono peculiar1' a Firenze. Nel primo sonetto del Canzoniere ce n'è uno solo; e c'è sovente che è parola forestiera 4); e poiché la lingua del Petrarca ha u molto del parlar comune e poco del parf .colar nostro fiorentino, aecade che meglio venga inteso in Lombardia che non in Firenze (5) ». — Nel Castellano stesso poi il Trissino formulava l'intera sua dottrina d'una .ngua italiana, differente dal volgar fiorentino, meglio determinando il pensiero di Dante, che noi abbiamo esposto più sopra. La lingua italica si ha, secondo Dante (6), eliminando quelle voci in cui le provincie italiane discordano, e ritenendo quelle che tutte posseggono. Ma è agevole obbiettare che una lingua composta con rigore a questo modo sarebbe d'una povertà eccessiva, e non potrebbe fungere come mezzo di comunicazione intellettuale
(1) Tutte le opere di G. G. Trissino, tomo secondo contenente le prose (Verona, 1729), p. 216.
(2) In una lettera al Card. De' Ridolfi, edita nel 152i ; e riprodotta nel citato volume delle opere in prosa di G. G. Trissino.
(3) Trissino, op. cit., p. 217.
M) Op. cit., p. 235
(5) Op. cit., p. 232
(6) Dr. vulg. el., 11, 7.