Stai consultando: 'Storia della Letteratura Italiana nel Secolo XVI ', U.A. Canello

   

Pagina (330/343)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina      Pagina


Pagina (330/343)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina




Storia della Letteratura Italiana nel Secolo XVI

U.A. Canello
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 327

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

Aderisci al progetto!

   
[Progetto OCR]




[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   27G
   capitolo xii.
   a raccogliere una acne di voci letterarie e dialettali, in ispecic meridionali, chc veramente ci son derivate dal greco (1).
   I fautori d'una lingua generale italiana fondavano i loro rngjonamenti in ìspe-cie sul lessico; i fautori d'una lingua regionale o municipale, toscana o fiorentina, si fondarono invece particolarmente sulla fonetica e sulla morfologia; e mentre i primi riguardavano in ^specie all'uso dogli scrittori i sccond tcnevan conto speciale dell'uso vivo parlato.
   II Bembo fu quello che più autorevolmente di tutti contribuì a far ritenere i Fiorentini per maestri e donni della buona lingua, anche per ciò ch'egli fu il primo che s'accingesse a fermarne le leggi (2).
   Le sue Prose della volgar lingua (3) sono div»e in tre libri, dei quali solo il primo ha per no> speciale importanza, come quello in cui l'autore determina il suo criterio direttivo nel giudicare della questione, Pigctta • Bembo l'op'- one del Calmcta, secondo il quale (egli dice inesattamente) la miglior lingua d'Italia si trova alla corte romana e rigetta pure l'opinione dominante tra i Fiorentini, messa in bocca anche qui a Giuliano de'Medici, che si deve scrivere nella parlata fiorentina, coinè quella che meglio iisponde all'intento di farsi agevolmente capire; c per bocca di Carlo Bembo, pur confessando che il fiorentino sia il più bello tra i volgar d'Italia, chc egli veneziano prefer-ce anche alla favella nat; i, sostiene che altro è scrivere altro è parlare: che scrivere è un parlare pensato, 1 quale più facilmente s troverà negl autori che non in bocca de'Fiorcnti.ii; e bisognerà qumdi ricorrere a quelli: che insomma la vera buona i ngua è quella de'mas?>:mi scrittori del trecento, in ispecie quella pulita e tra scelta del Petrarca: conclus me la quale evidentemente gì è suggerita non tanto dalla grandezza degli antichi scrittori fiorentini d. fronte ai modem quanto dall'analogia delle teoriche più accette rispetto al latino, il cui fiore il Bembo con altr era avvezzo a cercare nei mas-limi scrittori del tempo d'Augusto.
   Se non che questo temperamento ch'egli fa alle pretese fiorent ne ha le sue ragioni anche nel modo in cui i. Bembo concepisce la formazione del volgare letterario. Il volgare, per lui, è una corruzione del lat io classico, corruz ime determinata dalla min graz.one de'Barbari. A Firenze e in Toscana questa corruzi me sarebbe stata meno profonda, e però ivi riborse una 1 igua letteraria, succedanea del latino. Ma alla cosfituz.one di questa nuova lingua non hanno contribuito solo i Fiorentini; in essa vi sono molte voci provenzal , ed alcune dell'ltaLa meridionale ; essa, adunque, è il portato non tanto d'un municipio italiano, quanto degli scrittori d'un dato municipio, i quali attingevano materiali anche fuori della parlata natja. E però il Bcm o, pur coll'aiia d favorire i Fiorentini e di dar loro il vanto e il possesso delia lmgua buona, limita notevolmente questa concessione; ed è poi ben lungi dall'attenersi ne' suoi scritt igiamente alle voci e a modi dei trecentisti.
   Questo primo libro delle Prose bemb^ane, e gl altri due (nel pr no dei quali insegna a distinguere i suoni, le parole, i ritiri e le rime, che ] -ù convengono al poeta, e nell'altro dà in succinto un trattato di morfologia e di sintassi) furono
   (1) Cfr. F. Fiorentino, B. Telesio ecc., 1, 142-4. — Non sempre tuttavia il Persio è abbastanza cauto nelle sue etimologie; cosi dovransi mettere tra le molto problematiche quella di bosco da (Sdutti) pascolare, e quella di molo da poXoSiOat venire. Fra le fantastiche è poi da metter l'altra, ch'egli però dà come dubbia, di topo da mvrtxó;, onde ponto, poto, e per metatesi topo.
   (2) 11 Bembo uvea cominciato a scrivere del toscano fino dal 1502, enei 1512 mandava due li!i delle Prose a Trifon Gabriele (Lettere, II, 34) ; nel 1525 poi le presentava compiute a Clemente VII (Lettere, I, 122). Ma già fino dal I51G il Fortunio aveva dato fuori ad Ancona le sue Regole grammaticali della volgar lingua; e nel 1521 il Liburnio pubblicava a Venezia Le vulgari elegam't. Una Grammatiche ita scrisse più tardi anche il Trissino, e R. Corso pubblicò nel 1549 i Fouda?nenti del parlar toscano.
   (.1) Abbiamo sott'occhio l'edizione di Milano (Tipogr. de' Classici), 1810, in tre volumi, cui sono unite anche le Giunte del Castelvetro e le annotazioni del Cittadini.