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Storia della Letteratura Italiana nel Secolo XVI

U.A. Canello
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 327

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   la lingua e le relative quistioui.
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   accompagnati d'acutissime note da Lodovico Castelvetro (1), il quale una parte ne pubblicò nel 1563, mentre le altre furono date fuori a Napoli solo nel 1714.
   Importantissime fra queste sono le Giunte sesta e settima al primo libro bem-biano, nelle quali il Castelvetro traccia per sommi capi la storie. della 1-ngra volgare, cominciando collo stabilire, contro il Bembo, che i Romani avessero insieme al linguagg i letterari ), propr.o delle classi colte, una parlata volgare dalla qual sola può provcn -e il volgar italiano. Questo volgare latino cominciò ad avere in Roma stessa il sopravvento al tempo degl mperatori, quando il lii itto di città fu esteso a tutti i sudditi romani, quali affluirono alla caj tale; sopravvenuti poi i Groti e i Longobardi, il latino volgare, pur conservando la sostanza (lessico) propria, mutò negli accident' (fonetica), e di latino si fece 'taliano. Colla risorta attività politica degli Italiani nei liberi comuni, il volgare contine ò ad essere polito nelle concioni e nelle lettere; e questo volgare così trascelto e pulito fu quello che usarono i più ant^cl i nostri poeti.
   La question prat ;a del sapere dove fosse il buon volgare tallono è trattata dal Castelvetro nelle G unte decima e dec'materza, nella prima delle quali egli dà una carattei st sa dell'aulico n generale e in particolare del corti, ano romano (2), per rigettare, come il Bembo, l'opinione che su di esso aveva espresso il Calmeta; nella seconda poi, contro il Bembo, sostiene che si deva segi re negli scritti non già la lingua de' trecentisti (però che in quella non giamo in caso di sccrnere le frasai noi'li dalle ignobili; e però che, come sarebbe sconveniente all'Italiano il quale vuol farsi intendere dagli Italìan l'usare la lingua d'un altro paese, così è sconveniente usare la l'ngua d'un altro secolo) ma la lingua vivente in Toscana, non quella del volgo, bensì il pttro toscano, quale si adopera u dalle persone simili allo scrittore (3) n.
   Note^ol isi.no poi sono parecchie delle osservazioni che il nostro autore fa al li >ro terzo del Bembo, Qui, nella g;unta sessantes na ottava, c 'chiara con piena sicurezza la costituz'one d.l futuro italiano, sorto dalla compos one dell' infir'to col presente ina iat vo o. avere (crederò=creder-ho) e ( ta in appogg o le forme arcaiche far-aggio, dir-abbo e simili (4) ; e nella ottantesima prima dà l'analoga spiegai one del cond sonale ottativo, affermando che amerebbe risulti da amar ed ebbe, così come un parrave col significato di parrebbe che si legge n Danto da Mi ano, risulta da par(e)r ed ave, che. ne1' dialetti di Lombardia risponde al toscano ebbe (lat. habi lt) (5). E a queste d lucilazion etimologiche soggiunge alcune osservazioni sulla differenza di significato tra amassi ed amerei e sulle la-gion storiche di questa differenza, che a noi paiono ancora nuovissime, e vere c ìua diabili dal più acuto de' nost fingi st
   Prima che il Castelvetro facesse conoscere le sue note critiche alle Prose del Bembo, e nigi. asse così una parte nella questione della lingua, anche i Toscani s'erano scosì. , od erano accorsi alla difesa, in specie contro il Trissino.
   AW'Ep itola tr .siniana risposero Lodovico Martelli coll'argomentazione generale che g:.à abt amo esaminato, e con un'altra migliore desunta dai bisogni del poeta comico, il quale, senza una lingua viva, piena d'ic otismi, non può raggiungere il suo intento (e citava a controprova la languidezza della lingua nelle commedie ariostesche); il Firenzuola con tuono umoristico ia difesa della tradizionale ortografia; Addano Franci. sanese, col dialogo il Polito, in cui al sistema ortogra-
   (1) 'Verso il 1550. Vedi la Vita del Castelvetro premessa dal Muratori alle Opere varie critiche (Lione, 1727), p. G9-70.
   (2) Impariamo qui che uno dei caratteri distintivi del cortigiano romano erano le forme latine o latineggianti de'verbi, come: dicete, facete, dicere, facere.
   (3) Voi. I, 243 dell'ediz. citata delle Prose bembiane.
   (4) Vedi anche la Correzione di alcune cose ecc. p. 112 e segg,
   (5) Si confonde invece il nostro autore nello spiegare ameria e simili, supponendoli composti, anziché di amar e avia (per area), di amare ed ibam (andava), ridotto ad ia, come audibam ad udia,