Stai consultando: 'Storia della Letteratura Italiana nel Secolo XVI ', U.A. Canello

   

Pagina (333/343)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina      Pagina


Pagina (333/343)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina




Storia della Letteratura Italiana nel Secolo XVI

U.A. Canello
Francesco Vallardi Milano, 1880, pagine 327

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

Aderisci al progetto!

   
[Progetto OCR]




[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   la lingua e le relative quistioni.
   325
   precedute da un preambulo, nelle quali si tocca pur d= molte materie che non hanno a vedere coll'affar della ngua. Così .n una è affrontato il problema generale delle origini del linguaggio; in un' altra si discute lungamente, se e come più valga il fiorentino o il latino o il gicco. La somma della sua dottr la i spetto alla lingua nostra si può riassumere così: Il volgare s'è svolto dal latino, e costiti sce una 1 igua a s ; esso ha raccolto contribuì ! specialmente dal greco e dal provenzale. I Fiorentini furono quelli che lo sollevarono a dignità d lingua letteraria; ed ora Firenze è per 1' Italia, ciò che Fari» per la Francia (1); ed esso vi efc sto .sotto la forma volgare o parlata, e sotto la forma letteraria o delle persone colte. Ch vuol impararlo per bene, deve badare per primo all' uso vivo dei letterati fiorentini, poi a quello de'Fiorentini non idioti. In quanto al nome da dare a questa lingua, eg' nota chc moltissimi la chiamavano italiana, molti toscana, pochi, anzi pochissimi, fiorentina. Egli la vuol fiorentina, e mostra come dirla italiana sia un denotarla per il genere, il dirla toscana per la specie, dirla fiorentina darle nome vero individuale; e che 1 chiamare la nostra lingua italiana sarebbe come il chiamare animale il conte Cesare Ercolani, suo interlocutore, benché fosse pur vero ch'egli apparteneva al genere animale, della specie uomo ; argomentazione sp.ritosa che chiude la bocca all' avversario. Dell'autorità del De vulg. eloquio si sbrigava poi dicendolo opera u indegna, nonché di Dante, d'ogni persona ancora che mediocremente letterata r> (2).
   Molto maggior dottrina e anche una certa maggior temperanza d'opinioni mostrò Leonardo Salviati nei due volumi di Avvertimenti della lingua sopra il Decamerone, edito il primo nel 1584, ' secondo due amn dopo.
   Nel 1582 egl aveva dato un'ediz.^ne del Decamerone; rimasta celebre per i proced nenti seguii allo scopo di accontentare la Santa Inquisizione romana.
   Ma se 1' operazione sacrilega imposta all'editore da tempi doveva esser r cordata, giova pure si ricordi clic codesta edizione servì di base a una ragionata ortografia italiana, oscillante assai fino allora, e determinata dal Salviati col cri-tei io della pronuncia viva c delle grafìe più in uso nel trecento.
   Per giustificare l'opera propria sotto il . ispetto della lingua, egli scrisse i suoi Avvertimenti , nei quali ebbe occasione di esporre una dottrina generale e molti insegnamenti speciali sulla lingua nostra.
   Il criierio fondamentale del Salvia! è quello stesso del Bembo, ch'egli piglia a proteggere contro le obbiezioni del Castclvetro e del Varchi: la buona lingua è negli sci ttori del trecento; dal 1400 in po essa fu deturpata dal latinismo, dal qual guasto cominciò a riaversi col Poliziano, e interamente si riebbe per opera del Bembo Ciò che manca a trecentisti si potrà att'ngerc o agli scrittori più recenti o infine alla parlata viva di Firenze, n ispecie per i vocaboli i quali non possono essere stati tutti adoperati dagli scr'ttori; non già agli altri parlar' vivi d'Italia, come sarebbe quello delle corti o quello delle scuole, che sono pieni di neolog mi e di barbarismi.
   Rispetto poi agli se: ttori del trecento, mentre il Bembo mostrava delle pre-fìrenze per il Petrarca, e accusava Dante d'aver fatto nella ] igua d'ogni erba fascio, il Salviat nota che Dante è impurissimo ( ìfetto di latinismi) nel Conviiio, abbastanza puro (cioè ligio al parlare antico di F enze o di Toscana) nella Co-med-'a. Il Petrarca vai meno rispetto alla purità; le sue fras non hanno 1' .npronta dialettale, sono creazioni sue individuali, che non furono mai parlate. Ma lo scrittore che va sopra tutti è il Boccaccio, solo però nel Decamerone, e un po' nel Corbaccio, dove sono tutte le veneri della Ltigua. Rispetto al nome della lingua egli combatte, senza nominarli, il Trssino e il Muzio; c la vuol dire fiorentina, però che anche il fiorentino de'suoi tempi fosse tra le parlate volgari italiane la
   (1) Voi. II, pag. 3(54.
   (2/ Voi. I ,pag. 83.