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Storia della Letteratura Italiana
Il Seicento
Bernardo Morsolin
Francesco Vallecchi Milano, 1880, pagine 170

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a cura di Federico Adamoli

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   INTRODUZIONE
   Nominanza non buona ha lasciato di sè, per ciò che si riferisce alla letteratura italiana, quel periodo di tempo,, che dalla fine del secolo decimosesto si conduce sino alla pace d'Aquisgrana. Con la morte del Tasso, accaduta nel 1595, venivano meno gli elementi religioso, cavalleresco e nazionale, le tre forze, che, quando d'accordo, quando a parte, o per opposto cammino, avevano svolto e fatto progredire con felice successo 1' arte della parola. Non che la Chiesa si fosse smarrita nel compito, clic 1' avea resa veneranda per lunga serie di secoli e dal quale era derivata spesso l'ispirazione a'prosatori e a'poeti: anche assalita d'ogni parte da nemici terribilmente accaniti avea saputo uscir dal combattimento ritemprata, come altre volte, di giovanil robustezza: alla Chiesa mancò piuttosto un terreno adatto a maturare, come pur era desiderabile, le salutari riforme del Concilio di Trento. Oltre le condizioni men prospere d' una società informata a dottrine e a costumi di natura interamente pagana, facevano ostacolo le opposizioni de' governi, non vinte, ma quetate appena, dopo lunghi dissidi, in virtù di scambievoli accordi. Ne' tempi posteriori al Concilio si rialzarono bensì gli studi ecclesiastici: ma chi non sa, che le scienze profane, avverse, per impulso della riforma religiosa, ad ogni principio di autorità, si rimasero dal cercar 1' accordo con le teologiche, e che ne' costumi s'ebbe non un ristoramento sostanziale, ma un riserbo apparente? Poche anime furono sinceramente religiose, come quella del Tasso. Unico e grande poeta cristiano dell'età del risorgimento, lascia di sè vestigie così luminose da destare in altri il desiderio di seguirne le traccio. Ma il sentimento religioso che infiammasi in lui nel fervore dell' Europa latina, disposta ad accogliere in sulle prime le riforme del Concilio e intesa a salvare la sua civiltà minacciata dal Turco, illanguidisce e vacilla ne' plagiari, che ne ricalcano le orme. Quella, di cui fa pompa l'arte del seicento, non è fiamma consistente che sfavilli spontanea dal genio ispirato alle credenze cattoliche; c vampa fatuamente ostentata, che si svolge a fatica da ipocrisia mal repressa d'anime fiacche.
   E col Tasso vanno a spegnersi ugualmente gli ultimi spiriti di quella cavalleria, alla quale, già in discredito sin da' primordi del secolo decimosesto, avevano prolungato in qu&.lche modo la vita le romanzesche disfide tra Carlo quinto e Francesco primo. La satira dolorosa, con la quale il Cervantes mordeva le strane avventure di don Chisciotte, non feriva la Spagna soltanto. Neil' Italia stessa abbondavano i cavalieri, contro a' quali parevano avventati i sarcasmi del Castigliano. Più che in avventure degne e onorate, spendevano il tempo in frivole discussioni di diritti, di cartelli, di sfide. Erano, nè più ne meno, i don Rodrigo, i conti Attilio e i podestà del Manzoni, che alle pietanze e a' bicchieri intramezzavano quistioni di cavalleria, suffragate dall'autorità della Gerusalemme Liberata. Le stesse prove
   Morsoli*.
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