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Storia della Letteratura Italiana
Il Seicento
Bernardo Morsolin
Francesco Vallecchi Milano, 1880, pagine 170

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a cura di Federico Adamoli

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   a
   introduzioni:.
   per le mani degli uomini di lettere, erano il Decameronc, l'Orlando Furioso, e sopra tutti il Canzoniere del Petrarca. Meno studiata, perchè d'impronta originale e di forme più lontane dalle comuni, era la Divina Commedia. Ma gli scritti dell'Alighieri, del Boccaccio e dell'Ariosto non difettano talvolta di metafore e di antitesi stranamente artificiato. Il parlar delle donne, interrotto da sospiri, è paragonato nella Vita Nuova u alle acque mischiate di bella neve ». San Michele è detto nel Filocopo u il principe degli uccelli celestiali » ; mentre in Febo v'è salutato u l'aceordator delle ceterc di Parnaso ». E ncll'Orlando Furioso si ricordano armi clic gettano u faville, anzi lampade accese al cielo » ; c il pianto e i sospiri danno acque e venti che si trasformano « in pioggia di dolori ». E antitesi e metafore e giuochi di parole s'incontrano in copia assai maggiore nel Petrarca , il poeta prediletto, come nel cinquecento, così nel seicento. Le figure più trasmodate, le allegorie più prolisse s'hanno, se non tutte, eerto per la massima parte in que' sonetti, in quelle canzoni, in que' madrigali e sestine che porsero maggiore alimento allo studio de'letterati. Quante volte il poeta non vi trasforma la donna in un lauro per la sola ragione che i segni dell'alfabeto sono, a un di presso, gli stessi ne'nomi dell'una e dell altro ! Quante non ischerza ora eon quella sua u Marta, che mcrta mirto », ora con u l'aura, n che muove u il verde lauro » ed ora con u Lauretta », chc insegna a laudare, a reverire, a tacere! Chi prima d'ogni altro chiamò u usci » gli occhi, per dove versasi il pianto, e avverti la pioggia delle lagrime e i venti de' sospiri? E u i due levanti», usati dal Marini a significare gli occhi di una donna, non uscirono forse la prima volta dalle officine del Petrarca? Senza dire che il Tasso stesso, uno de'più ammirati nel secolo decimosettimo, abbonda siffattamente di giuochi di parole, di antitesi e di metafore, da potersi considerare quasi l'anello di congiunzione tra la letteratura del cinquecento e quella del seicento.
   A crescere il male contribuì in buona parte la dominazione spagnuola. Io non dirò che le lettere difettassero in Italia di favore e di protezione. Come nelle età precedenti, così non furono scarsi nè illiberali nel secolo decimosettimo i mecenati. Alcuni de' Principi di Savoia, d'Este, di Parma, di Toscana e alquanti de' Papi di Roma, se non pareggiarono in generosità i più munifici de' loro predecessori, non ne rimasero però molto discosti. Ma le eorti di codesti Principi non erano più quelle del secolo deeimosesto, alle quali accorressero gli stranieri ad attingervi i modi e le leggi del bel vivere. Il contatto degli Spagnuoli v'aveva, se così si può dire, innovata ogni cosa. Gli spettacoli, le abitudini, le usanze, i costumi, il lusso del servidorame, lo sfarzo delle vesti, le cerimonie di corte, il sussiego nel portamento e negli atti, e tutte, in una parola, le affettazioni signorili di quel popolo s'erano innestate e fatte comuni in Italia. La lingua stessa vi avea conseguito un eulto speciale. Cortigiano perfetto non si sarebbe riputato ehi ne fosse andato digiuno d' una certa conoscenza. A parlarla si poneva in Italia la cura medesima eon la quale nel resto d'Europa gareggiavasi nel parlar l'italiana, usata dal Montaigne, dalla Longueville, dal Sevigné, dal Menage, dal Regnicr Desmarets in Francia, dal Milton in Inghilterra, dall'Accademia di Vienna tra' Tedeschi, alla quale erano ascritti, tra parecchi altri, il Montecuecoli e il Maffei. E al eulto della lingua aceompagnavasi lo studio delle lettere, e in modo particolare de' poeti. Quelli che vi tenevano il campo, non erano però nè Lopez de Vega, nè Calderon, nè Cervantes, nè gli altri, la cui scuola, foggiata su' grandi modelli italiani del sc-eolo decimosesto, risaliva a Don Diego Hurtado di Mendoza, a Cfarc'lazo de la Vega, a Bascan, seguace o, a dir meglio, discepolo, di Andrea Navagero. La smania del nuovo faceva prediligere invece la scuola dello stile colto, ove le stravaganze ridicole, le affettazioni e il pedantesco intralciano siffattamente il contesto de' componimenti da renderne inintelligibile il senso. Nessun poeta, neppur de'più grandi della Spagna, ebbe, vivente, accoglienze ed onori cgual' a quelli di Luigi Gongora, un gentiluomo di Cordova, che ne fu il caposcuola. Alla sua maniera,