Stai consultando: 'Storia della Letteratura Italiana Il Seicento', Bernardo Morsolin

   

Pagina (19/179)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina      Pagina


Pagina (19/179)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina




Storia della Letteratura Italiana
Il Seicento
Bernardo Morsolin
Francesco Vallecchi Milano, 1880, pagine 170

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

Aderisci al progetto!

   
[Progetto OCR]




[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   m
   CAPITOLO I'IIIMO.
   avcss'cgli saputo giovarsi (lolla pace, non mai turbata durante il suo principato, a migliorare in ugual modo le non felici condizioni de' popoli !
   Ma la larghezza di Cosimo fu vinta dalla liberalità di Ferdinando IT. Gli scritti de' pivi grandi fra gli uomini, de' quali fiorì nel secolo XVII la Toscana, riboccano, qual più, qual meno, di lodi all'animo di lui regalmente munifico. Cultore appassionato della scienza, dedicava più ore del giorno allo studio. Nulla lo dilettava quanto il prender parte alle adunanze de' dotti. Alla mensa non sedeva mai solo: lo circondavano letterati e scienziati, co'quali ragionava volentieri delle seienze più ardue. Da nessun altro principe s'ebbero più largo incremento le biblioteche, le Accademie c gli altri istituti letterari di Firenze. Le stesse Università di Toscana salirono per la protezione di lui a così alto grido, quale sotto nessun altro principe di quel sceolo c del successivo. È solo a dolere che alle lodi, dovutegli come a meeenate, facciano contrasto in lui la debolezza del principe. Emulo di Ferdinando fu il cardinale Leopoldo de' Medici, cultore ugualmente degli studi, fondatore d'istituti scientifici, protettore di letterati e d'artisti.
   Sulle costui traccie e su quelle di Ferdinando si condusse il Granduca Cosimo III. Giovanissimo, fece suo prò de' viaggi nelle principali provincic d'Europa per consultare biblioteche, visitare università, conoscere uomini dotti e ritornare in patria largamente istruito in ogni maniera di seibilc. Principe , provvide di nuovi cimeli le librerie di Firenze, arricchì di strumenti di fisica e di erbari preziosi gl'istituti scientifici, concorse alla fondazione de'collegi Tolomei di Siena c Cicognini di Prato, largheggiò con gì' ingegni che avessero mostrato, desiderio di studiare presso le più celebri Università d'Europa. Della munificenza di Cosimo, degna veramente de' più magnifici tra' Medici, parlano con ammirazione gli scrittori del tempo; ne ora si voi'rcbbc detrai' nulla a siffatte testimonianze, ove s'ignorasse che quella liberalità costava i sudori e gli strazi de' sudditi, vessati ed espilati da un principe stoltamente fastoso.
   De'molti papi, che si successero dal 1595 al 1748, due soli voglionsi ricordare a preferenza degli altri. Ad Urbano Vili, dotto nelle lingue latina, greca ed ebraica, ò vanto non piccolo l'aver chiamati e accolti iu Roma parecchi ingegni italiani c stranieri. La generosità con la quale porse lor modo di coltivare gli studi, fa che gli si condoni la vanità, e diciamo anche la ostentazione cocciuta della quale menò pompa in sua vita. Alessandro VII, buon cultore, del pari che Urbano, della poesia latina, pose l'animo ugualmente a sovvenire gli uomini dotti. Perito della lettura de' caratteri antichi, si dilettò di fare incetta di codici destinati ad arricchir poi la Biblioteca Vaticana. Alle curc del pontificato cercava un sollievo nella conversazione de' poeti e degli eruditi. I ragionamenti de' quali si compiacevi!, erano soprattutto di letteratura e di storia ecclesiastica. L'amore a quest'ultima, o più propriamente alla religione cattolica, gli avea fatto arrìdere un pensiero, degno veramente del suo grande ministero. Ebbe cioè in animo d'istituire in Roma un collegio, ove gli eruditi delle cose sacre potessero dedicarsi esclusivamente a' loro studi, per uscirne poi compensati con la promozione alle più alte dignità della Chiesa. E se i tempi non fossero volti assai torbidi e la morte non lo avesse prevenuto, e a credere chc Alessandro, erede della munificenza d'Agostino Chigi, l'amico e il mecenate di Raffaello, non si sarebbe rimasto dall'at-tuarne il disegno.
   Nulla, chc ricordi la larghezza de' protettori dell'Ariosto e del Tasso, contrassegnò il principato d'alcuno degli Estensi. All'animo colto c liberale di Francesco I, clic pur diede mano a parecchi istituti, e fu generoso di sovvenzioni agli uomini d'ingegno, hanno fatto contrasto troppo aere i tempi malaugurati c le guen'C. Nò fama di vero mecenate ha lasciato alcuno de' Farnesi di Parma. I nomi de' due Ranucei, primo e secondo, si connettono appena all'edificazione del teatro, e alla istituzione del Museo e della Biblioteca. Meno ancora rimane a dire de' Gonzaga di Mantova. Degeneri da' loro maggiori per ciò, che concerne gli