312
JACK LONDON
e insanguinati. Il braccio di uno dei kanaka pendeva inerte e rotto. L'altro sanguinava da una mostruosa spaccatura.
— E' stato Narii, no? — domanḍ Mul-hall.
Grief scosse la testa.
— No; è una ferita di urto in coperta o nel crollo della casa.
Improvvisamente qualche cosa cesṣ, instillando in tutti una grave sospensione. Era difficile rendersi conto che il vento fosse cessato. Era invece cessato, come tagliato netto da una lama. La goletta rullava e si immergeva, facendo risuonare le ancore con uno scroscio che sentivano per la prima volta. Coś pure udirono per la prima volta l'acqua rovesciarsi sulla coperta. Il macchinista disinnesṭ l'elica e rallenṭ la macchina.
— Ci troviamo nel centro morto, — disse Grief. — Avremo ancora dei momenti duri. — Guarḍ il barometro, e lesse: « 29.32 ».
Si accorse di poter moderare la voce, abituata a gareggiare col fragore del vento, tanto essa risuonava ora nell'improvvisa quiete.
— Ha tutte le costole spezzate, — disse il capo-ciurma, tastando il corpo di Parlay. — Respira ancora, ma non c'è rimedio.
Il vecchio Parlay gemeva; mosse un