GIUSEPPINA - Ottimo perché vecchio.
GIACOMIN - Allora i vecchi contano ancora qualche cosa nel vivere.
ERIO - Senza dubbio. Non siamo mica stracci da gettar via. I romani, nella percezione chiara di tutti i valori, mettevano i veterani, che veneravano, ai più alti posti della gerarchia imperiale.
GIUSEPPINA - Ma sicuro. Noi rappresentiamo sempre quella schiera, fatta sacra dall'età, da cui i giovani debbono trarre norma di vita.
ERIO - Siamo sempre, con questi discorsi, nel romantico, nonostante lo scompiglio portato anche qui dal tempo nuovo. Ma tornando alla nostra guerra, mi potrebbe parlare, Giacomin, di un qualche episodio del mio battaglione degno, più degli altri, di ricordanza?
GIACOMIN - Perché no? I racconti di quella guerra fanno sempre piacere.
ERIO - Di quella guerra che costituisce oggi il nostro vanto, il nostro orgoglio, poiché con essa si concludeva il nostro glorioso risorgimento.
GIACOMIN - Sicuro. Ed ora a noi. Lei, che forse era pure al fronte, rammenterà la grande offensiva del maggio del 1916, la famosa spedizione punitiva, scatenata contro di noi dagli austriaci. Si era da sei giorni sotto il più violento bombardamento di cannoni di ogni calibro, che frantumava le trincee, sradicava gli alberi, sconvolgeva il terreno, maciullava gli uomini. C'era davvero da innalzare bandiera bianca. Pareva che non vi fosse, in quell'inferno, più salvezza.
ERIO - Rammento, rammento, poiché anch'io ero non lontano da quell'inferno.
GIACOMIN - Sul silenzio dei cannoni, la mattina del giorno 21, si videro masse di soldati nemici muovere, a file serrate, all'attacco, sicuri di passare. La prima linea, tutta sconquassata, stava per essere raggiunta, conquistata, superata, quando la voce terribile di due mitragliatrici, poste nel centro della difesa, rianimava i nostri, gettava, con le gravi perdite, sgomento negli avversari.
|