A volte il destino di una persona si lega indissolubilmente ad una causa, ad eventi tutti particolari. Dalla lettura dell’ampia documentazione riguardante i fatti che si sono succeduti negli anni circa la controversa vicenda teramana che nel 1941 portò alla demolizione della chiesa barocca dedicata a San Matteo, è questa l’impressione che si ricava intorno alla figura di Lorenzo Di Paolo. Il sacerdote per tanti anni fu infatti il primo paladino delle sorti della sventurata chiesa, un tempio che era ‘incastrato’ tra le due ali di un grande edificio posto sul Corso San Giorgio di fronte al palazzo della Prefettura; il fabbricato, costruito prima del 1400, fu inizialmente un ospedale, poi un convento benedettino, quindi funzionò come caserma militare durante il periodo francese, infine fu adibito a collegio e liceo sino agli anni trenta del secolo scorso, quando fu aperto il nuovo convitto di piazza Dante.
Nato a Teramo nel 1886, grazie alla sua viva intelligenza Lorenzo Di Paolo fu inviato a studiare dal vescovo Zanecchia a Roma dove, alunno nel Collegio Leoniano, frequentò brillantemente l’Università Gregoriana. Ordinato sacerdote nel 1911, tornò nella Diocesi teramana e fu destinato parroco a Guardia Vomano. Nel 1921 fu nominato Direttore Spirituale del Seminario Aprutino e contemporaneamente Direttore dell'Ufficio Missionario. Nel 1923 ebbe l'incarico di Parroco della Cattedrale, e il Vescovo Micozzi gli affidò anche l'Azione Cattolica e l'Ufficio Catechistico.
Quando Don Lorenzo diventa il Rettore della chiesa di San Matteo, considerata la succursale del Duomo egli, oltre alla sua infaticabile attività di animatore missionario, riversa le sue energie per perorare la causa della chiesa, avversata lungamente nella sua storia da sciagure reali e temute, e da ripetute minacce di demolizione (paventata già sin dal 1821). La vera tragedia, che portò all’inesorabile declino del convento, si era invece verificata nel Natale del 1745, quando parte del tetto, crollando, precipitò su trenta monache raccolte in preghiera, uccidendone quindici (il drammatico evento viene anche descritto dal Palma nella voluminosa storia di Teramo).
I problemi più ricorrenti negli ultimi decenni di vita della chiesa furono legati al precario stato di conservazione del tetto, che non si riuscì mai a risanare definitivamente. A cadenza regolare Don Lorenzo, con la sua chiara e rotonda grafia, avanzava le richieste d’intervento al Comune di Teramo, dovendosi superare anche le difficoltà legate ad una lunga e intricata controversia giudiziaria che si era aperta nel 1901, in conseguenza di un progetto di ampliamento del fabbricato che prevedeva la soppressione della chiesa. Il sacerdote, davanti ai problemi legali e alle ricorrenti minacce di demolizione, non si demoralizzava; imperterrito, con toni decisi, tornava regolarmente a far presente alle pubbliche autorità le esigenze della chiesa, per la quale il sacerdote teramano auspicava un grande restauro, che le conferisse il prestigio di cui forse non aveva mai goduto. Per questo scopo costituì un ‘Comitato per i restauri della Chiesa di San Matteo’, coinvolgendo nel reperimento dei fondi necessari i tanti fedeli che ne avevano a cuore la sorte. Il destino della chiesa fu a lungo incerto, perché se da un lato il sacerdote promuoveva le iniziative che miravano alla sua valorizzazione, dall’altro esisteva il proponimento delle autorità pubbliche, più o meno sottaciuto, di eliminarla.
Le pressanti richieste di Don Lorenzo Di Paolo, in particolare le ripetute suppliche per ottenere la restituzione di alcuni locali da adibire a sagrestia (che furono sottratti alla chiesa dal convitto) vennero da alcuni considerate eccessive, anzi animate da un interesse del tutto personale. Non mancarono sulla stampa gli attacchi mirati contro il sacerdote, per una vicenda definita dal Podestà fascista di Teramo una "quistione falsata da un piccolo nucleo di interessati". Il prete teramano non dovette solo remare contro le autorità pubbliche (che in maniera ambiguo rassicuravano e promettevano), perché anche negli ambienti della Curia aprutina c’era chi sembrava non avere a cuore le sorti della chiesa. Per questa ostilità Don Lorenzo manifestò chiaramente ai superiori il suo profondo dolore; e fu anche molto esplicitò perché riferì che da opinioni raccolte da autorevoli persone, chi avversava la chiesa fosse addirittura il Vicario Generale Giovanni Muzj.
Nell’accesa polemica che seguì la demolizione, una decisione che è da ritenersi un vero e proprio atto di forza compiuto nei confronti della Curia, il Comune rivendicò pure di aver ricevuto l’approvazione ufficiale delle autorità ecclesiastiche teramane. Il Vaticano da parte sua per il sacrilegio compiuto intendeva emettere un interdetto, una sorta di scomunica sulla città di Teramo...
L’abbattimento di San Matteo provocò il più grande risentimento in Don Lorenzo che, invocando la giustizia divina e l’abisso per i colpevoli dello scempio compiuto, considerato da egli un “triste presagio”, ebbe pure l’arditezza di pronunciarsi esplicitamente contro le autorità fasciste, dichiarando: “Ma sono forse impazziti quelli che comandano a Teramo?”. E alla memoria popolare la demolizione della chiesa barocca (uno stile architettonico avversato dall’ideologia fascista, che la riteneva una forma d’arte degradata) è stata consegnata come espressione della prepotenza fascista. Per i detrattori della demolizione, la cancellazione della chiesa era ritenuta necessaria per preparare la piazza di fronte il balcone centrale della Prefettura dal quale Mussolini, invitato a Teramo, avrebbe fatto il suo discorso al termine della guerra lampo!
Dopo la conclusione della vicenda di San Matteo, nell’agosto 1942 Don Lorenzo di Paolo ricevette il delicato incarico di Vicario Generale della Diocesi di Teramo; fatalmente il vicario in carica, Monsignore Giovanni Muzj - cioè colui che avrebbe osteggiato la conservazione della chiesa - a demolizione avvenuta, per la polemica che ne scaturì, giunse a rassegnare le dimissioni, che rimasero congelate per diversi mesi; quindi lo stesso Don Lorenzo gli subentrò. In anni successivi il sacerdote teramano fu anche educatore di adolescenti, nella sua funzione scolastica. Morì 95enne a Chieti il 21 aprile 1981. Riposa nel cimitero di Tortoreto.
Federico Adamoli
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