(segue) «Intransigenza assoluta»
(22 giugno 1925)
[Inizio scritto]
Che cosa vogliamo noi? Una cosa
superba. Vogliamo che gli italiani scelgano. È finito il tempo
dei piccoli italiani che avevano mille opinioni e non ne avevano una.
Abbiamo portato la lotta sopra un terreno così netto, che
bisogna essere di qua o di là. Non solo: ma quella che viene
definita la nostra feroce volontà totalitaria sarà
perseguita con ancora maggiore ferocia: diventerà, veramente,
l'assillo e la preoccupazione dominante della nostra attività.
Vogliamo, insomma, fascistizzare la Nazione, tanto che domani
italiano e fascista, come presso a poco italiano e cattolico, siano
la stessa cosa. Solo avendo un grande ideale si può parlare di
rivoluzione, si può impiegare questa magica e tremenda parola!
Ora abbiamo votato delle leggi
fasciste, delle leggi di difesa: dopo verranno le leggi di creazione
e di costruzione. I nostri avversari non sono ancora convinti
dell'ineluttabile. Sperano. Avete capito... Sperano nel Senato.
Alcuni anni or sono il Senato italiano, che pure ha così
nobili tradizioni nella storia politica della Nazione, era decaduto.
Era un nobile decaduto! Noi che siamo giovani, abbiamo compreso
l'importanza di quest'assemblea e ne abbiamo ripristinato lo
splendore. Il Senato approverà le leggi fasciste; prima di
tutto perché il Governo vi ha la maggioranza; in secondo luogo
perché noi le difenderemo; in terzo luogo perché il
Senato, nel suo alto patriottismo, non vorrà, certo, assumersi
la responsabilità di un contrasto, che determinerebbe una
crisi di conseguenze assai gravi.
Oggi il Fascismo è un
partito, è una milizia, è una corporazione. Non basta:
dove diventare un modo di vita! Vi devono essere gli italiani del
Fascismo, come vi sono, a caratteri inconfondibili, gli italiani
della rinascenza e gli italiani della latinità. Solo creando
un modo di vita, cioè un modo di vivere, noi potremo segnare
delle pagine nella storia e non soltanto nella cronaca. E quale è
questo modo di vita? Il coraggio, prima di tutto; l'intrepidezza,
l'amore del rischio, la ripugnanza per il panciafichismo e per il
pacifondismo, l'essere sempre pronti ad osare nella vita individuale
come nella vita collettiva, ad abborrire tutto ciò che è
sedentario: nei rapporti la massima schiettezza, i colloqui a quattro
e non le vociferazioni clandestine anonime e vili, l'orgoglio in ogni
ora della giornata di sentirsi italiani, la disciplina nel lavoro, il
rispetto per l'autorità. L'italiano nuovo, ed io, ne vedo già
un campione, l'italiano nuovo è De Pinedo! Portando nella vita
tutto quello che sarebbe grave errore di confinare nella politica,
noi creeremo, attraverso un'opera di selezione ostinata e tenace, la
nuova generazione, e nella nuova generazione ognuno avrà un
compito definito. Talvolta mi sorride l'idea delle generazioni di
laboratorio: creare cioè la classe dei guerrieri, che è
sempre pronta a morire: la classe degli inventori, che persegue il
segreto del mistero; la classe dei giudici, la classe dei grandi
capitani di industria, dei grandi esploratori, dei grandi
governatori. Ed è attraverso questa selezione metodica che si
creano le grandi categorie, le quali a loro volta creeranno l'impero.
Certo questo sogno è superbo, ma io vedo che a poco a poco sta
diventando una realtà. Noi non rinneghiamo nulla del passato.
Noi consideriamo che il liberalismo ha significato qualche cosa nella
storia d'Italia, anche se furono Governi liberali quelli che non
vollero l'Albania, quelli che non vollero Tunisi, quelli che non
vollero andare in Egitto; anche se furono Governi liberali quelli che
nel dopoguerra ebbero un solo delirio: quello di abbandonare le terre
dove eravamo.
(segue...)
|