a cura di Federico Adamoli
Alcune vicende dei fratelli Adamoli in Bologna (1837-1842)
[18 gennaio 2015]
Le recenti notizie che mi sono state gentilmente fornite dallo storico bolognese Giancarlo Dalle Donne hanno portato alla luce alcune vicende riguardanti la permanenza degli Adamoli nel bolognese, la cui residenza ventennale è legata alla esistenza in Pontecchio della Rameria del Maglio di proprietà del Conte Carlo Marsili Rossi, dove lavorarono a partire dal 1825-26 circa tre dei cinque figli di Carlo Bernardo Adamoli di Narro: Carlo (n. 1804), Antonio (n. 1806) e Giuseppe (n. 1810).
La prima ed eclatante notizia, di cui già ho riferito, è l'omicidio di Carlo, commesso il 20 febbraio 1839 proprio nella “Fabrica del Maglio di Pontecchio” per mano di Luigi Baschieri; questi colpì con uno “scortichino” il più grande dei fratelli Adamoli, il 35enne Carlo, che “repentinamente morì”. L'omicida fu arrestato il giorno dopo.
I documenti conservati negli archivi bolognesi che testimoniano le vicende dei fratelli Adamoli si riferiscono essenzialmente alla vita lavorativa nella Rameria del Maglio. Oggi le conosciamo grazie al fortunato incontro con Giancarlo Dalle Donne, che mi ha gentilmente trasmesso i contenuti di questi documenti.
In ordine cronologico i primi documenti (conservati nell'Archivio storico della Provincia di Bologna, busta 30), risalenti al 1837, riguardano una multa che Carlo e Giuseppe Adamoli ricevettero per aver tagliato abusivamente un certo numero di piante di castagno che si trovavano “in un fondo di loro proprietà”. I due fratelli avevano ricevuto in realtà una autorizzazione per il taglio di 180 piante ma, come si legge da una istanza di riduzione della multa presentata dai due, “i limiti del permesso del taglio sono stati ecceduti per fatto degli operaj (?) che non potevano essere sorvegliati, attesa l'assenza dei patenti proprietari. […] Carlo, e Giuseppe fratelli Adamoli del fu Carlo Bernardo degenti alla Rameria di Pontecchio”. Nel richiedere il beneficio, i due presentano una obbligazione a pagare 5 Scudi nella cassa provinciale, a titolo di multa “per l'oggetto di sottrarsi da una procedura criminale”. Il rappresentante della commissione boschiva a cui è rivolta la richiesta di beneficio, la accetta (23 marzo 1837) e “dimette” i fratelli Adamoli dal Tribunale.
Proseguendo l'esame di questi documenti troviamo due lettere (Archivio di Stato, "Archivio della rameria del Maglio di Pontecchio"), per certi versi curiose, che Giuseppe scrisse nel 1840 al padrone della rameria in seguito ad alcune intemperanze di un lavorante della ramiera, tale Antonio Scalabrini, causate dalla passione di questi per il vino. Nella prima lettera (30 ottobre) Giuseppe riferisce al padrone in un italiano molto incerto: “Dunque sara rivato Scalabrini dalei col dire di me che lo bastonato ma la confesso dele bastonate perche non tralasciava mai di ofendere tutti quelli del Maglio perche era ancora marcio dal vino della notte”. Dopo la sbornia Giuseppe aveva invitato lo Scalabrini ad andarsene a letto “che si doveva alzare presto a lavorare insoma alla matina vedo che viene nel maglio con delle onde che non poteva stare dritto ando unaltra volta aletto li sta sino a suo piacimento è poi vene à lavorare invece di lavorare faceva altro che ciarlare a tenere in tempo li altri che doveva lavorare”. Scalabrini ha pure alcuni debiti: “dal libro resta debitore verso di Noi Scudi 4,59 è poi [… ] è pieno de debiti che non stia à darli niente”. Giuseppe suggerisce al padrone di mandare via il lavorante: “altro li dicho che non dia piu retta à colui che cercha delle lite che lo manda via suli due piedi che selomerita alla cagnara fatta à me in piu volte che quello e uno male sicuro al lavoro insoma e la piu carogna”. Il mese successivo (30 novembre) Giuseppe è nuovamente costretto a scrivere al padrone per le nuove intemperanze dello Scalabrini, detto “Radicio”, e a causa delle quali il più giovane dei fratelli Adamoli è costretto ancora ad alzare le mani: “Dunque ti facio sapere che ieri matina ad ora di colazione Radicio cia dimandato uno bocale di vino che diceva che li faceva male la panza dunque il fratello Antonio li diede il bocale del vino è dopo averlo bevuto li diede fori una inbriagatura che non conosceva nisuni io li diceva di andare adormire è lui non dava retta basta io fece tanto che lo portai su dale scale due volte e lui tornava sempre à volore lavorare [… ] alla fine poi li diede tre ò quatro pugni è ancora quelli non soni giovati”. Giuseppe sottolinea il clima che si respira nella rameria: “insoma in questa fabrica non posiamo respirare perche vi a sempre delli inpedimenti di non fare il lavoro” e minaccia di andare via: “se non sono buono potro altro che à fare la strada che ò fatta à venire tramezzo a questi birbanti”; ricorda infine l'omicidio del fratello, avvenuto l'anno prima: “ano levata la vita a nostro fratello fu carlo” lasciando ad intendere che l'omicidio sia maturato proprio per le tensioni esistenti nella rameria.
Il trittico dei documenti riguardante i fratelli Adamoli si chiude con gli incartamenti relativi al fallimento della Rameria del Maglio di Pontecchio (Archivio di Stato di Bologna, "Tribunale del Commercio, Fallimenti", b. 48), che era gestita da Pietro Bontempelli, avvenuto nel 1841. I due Adamoli vantando dei crediti relativi a “somministrazioni di contanti, di generi, e carbone, e ad opere prestate dagli stessi Adamoli nella ferriera del Bontempelli fino al 13 9bre 1840”, per un importo di circa 720 scudi, si fanno pagare gli arretrati. Ciò avviene illegalmente, proprio perché l'azienda è in fallimento ed è stato nominato un curatore. La conseguenza è che Giuseppe ed Antonio vengono citati in giudizio. Il curatore fallimentare Ivangelo Landurri il 4 luglio 1842 rivolge quindi la richiesta di citare i due Adamoli “li quali fratelli non hanno voluto dare ascolto alli amichevoli inviti estradatigli. Tale facoltà si chiederebbe estesa per estradare a Cesena le citazioni relative a a Giuseppe, il quale si è colà trasferito” (Giancarlo Dalle Donne mi precisa: “forse presso un loro cliente, i fratelli Angelo e Giuseppe Balestra. Di Antonio non si sa, ma probabilmente rimane a Pontecchio”). Negli atti relativi alla procedura di fallimento si parla estesamente della posizione dei fratelli Adamoli: “Ora si parli dell'altra Causa dello Stato Bontempelli contro li fratelli Adamoli. Furon questi citati pel pagamento di D. 718:85 a titolo di reliquato (?) di conti pendenti con li suddetti fratelli, ed il Bontempelli Pietro emergenti da libro apposito di pugno del medesimo, e rinvenuto fra le carti di lui dal Sindaco, e relativo a somministrazioni di contanti, di generi, e carbone, e ad opere prestate dagli stessi Adamoli nella ferriera del Bontempelli fino al 13 9bre 1840. I citati non impugnarono mai di fronte il predetto Libretto, e limitaronsi ad alcune eccezioni d'ordine, delle quali essi stessi mal fidandosi per le ragioni contrapposte da parte dell'attore, quando stava per proferirsi la sentenza in merito, opposero una [...] di eccezioni, che consistono in tante pretese degli stessi Adamoli, che non combatterebbero già, né verrebbero ad estendere il credito dello stato contro di essi appicciato, ma sarebbero dirette a stabilire una serie di pretese ascendenti al numero di 10, e formanti un montare di S. 1294 tutte però capricciose, non documentate, improbabili, ed in massima, e presso che totali parte insussistenti; inducendo poi in testimoni tre fratelli nelle persone di certi Luigi, Michele, Giuseppe Collina. Fu per necessità ammesso l'esame di questi testimoni, ma il medesimo non ha fin qui avuto luogo, perché la controparte cui l'onere di incombeva di fare occorrevole, non ha fatto il debito [...], ed almeno col fatto si ricusa, per cui ora pende l'incidente di dovere esso entro breve termine depositare i fondi opportuni sotto pena della decadenza del benefizio di detta prova. Non può quindi con sicurezza argomentarsi quale sarà per essere l'esito di questo giudizio, avvegnache [...] possono la improbabilità delle avversarie pretese, ma porge sempre incertezza una prova testimoniale non per anche seguita, sebbene i testimoni indotti siano debitori dello stato; come del pari non debbesi tenere che le notizie sulla solvibilità dei suddetti Adamoli non sono troppo sicure.”
E' da sottolineare che nell'epoca in cui il fallimento è ancora in corso (l'ultimo documento testé trascritto si riferisce al dicembre 1844) Giuseppe Adamoli si trova già in Abruzzo. Infatti il passaporto gli viene rilasciato a Bologna nel giugno del 1842 (epoca anteriore alla citazione avanzata dal curatore fallimentare), proprio per recarsi ad “Aquila nel Regno di Napoli”. Del fratello Antonio non si conosce esattamente la destinazione, che fu probabilmente la Toscana.
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