Ricordi personali e besozzesi
di Augusto Fichtner
Le presenti note vogliono essere una prova d’affetto per il Paese che mi ha dato i natali, note che potranno non avere una conseguenza temporale perché buttate lì man mano che i ricordi tornano alla mente.
Dubito che le frasi o le parole scritte in dialetto, siano scritte correttamente poiché la scrittura è diversa dalla pronuncia, perciò me ne scuso in anticipo!
Un piccolo excursus sulla storia di Besozzo: da ritrovamenti archeologici dovuti al compianto Sig. Ludovico Brunella, risulta che la zona fu frequentata nel paleolitico dagli abitanti dell’isolino Virginia del lago di Varese, dove sicuramente si addentravano nella selva, a quel tempo esistente in zona, per cacciare. Nel periodo romano, nella località chiamata Brella fu edificato un pago fatto di capanne; nelle immediate vicinanze il Sig. Brunella ha individuato un cimitero del terzo secolo d.C., mentre poco più avanti, nel corso dell’Ottocento, si scoprirono delle tombe longobarde. Come ebbi a scrivere, sicuramente l’abitato romano vero e proprio sorgeva là dove oggi esiste il castello Cadario e Adamoli. Una leggenda narra che come Roma, Besozzo si rimpolpò di abitanti quando i Goti, dopo aver saccheggiato Milano, passarono da Besozzo; avendo preso parecchie prigioniere, le quali molto probabilmente, da Milano a Besozzo avevano rotto non poco i bargigli, decisero di lasciarne una parte agli abitanti di Besozzo.
Salto parecchi secoli per arrivare alla seconda metà dell’ottocento dove il Paese, composto solo di ca. 7/800 anime, dava lavoro a ben 1200 operai. Infatti, essendo Besozzo attraversato dal fiume Bardello che collega il lago di Varese con il lago Maggiore, forniva a buon mercato la forza motrice per molti opifici (cotonifici, setifici, cartiere, mulini per macinare il grano ecc.). Una piccola chiosa: sembra da documentazione che Leonardo Da Vinci, fu incaricato dallo Sforza di studiare la possibilità di rendere navigabile i fiumi Tresa (che collega il lago di Lugano e il lago Maggiore) e il fiume Bardello (che collega il lago di Varese con il Maggiore); forse è solo un volo pindarico da parte mia, ma Besozzo credo sia il luogo adatto per soggiornare lo stretto necessario per operare dei sopralluoghi. Oggi purtroppo di queste aziende esiste, forse, solo il ricordo!
Faccio un’ulteriore salto temporale per arrivare agli anni '50 del novecento, quando lo scrivente, ragazzino, ha potuto immagazzinare nella sua memoria: fatti, personaggi, e vita vissuta. Sino agli anni '60 Besozzo era ricca d’industrie, ed era un fiorente centro agricolo (i maggiori possidenti erano la famiglia Adamoli e Rebuschini). Vi erano due enormi frutteti: uno occupava due terzi della collina che esiste fra Besozzo e la frazione chiamata Cardana, chiamato appunto “il frutteto”, l’altro praticamente in centro a Besozzo Sup. di proprietà della famiglia Rebuschini. Un lato confinava con il campo di calcio dell’Oratorio, perciò, quando giocavamo da ragazzi, spesso e volentieri il pallone finiva nel frutteto, e chi andava a riprenderlo (mai meno di tre) tornava con provviste di frutta, sperando che non ci fosse il Coadiutore ad aspettarci, altrimenti erano sberloni che volavano. La maggior parte dei Besozzesi impiegati nelle industrie, avevano un doppio lavoro, e mi spiego: nel territorio di Besozzo esisteva un’enorme cartiera che a turni lavorava ventiquattro ore al giorno per 365 giorni l’anno (avevano diritto a essere assunti innanzitutto i figli di coloro che già lavoravano, poi con la raccomandazione del parroco e del sindaco gli altri) un setificio, un’industria che costruiva le macchine per levigare i pavimenti (famosa a livello mondiale), uno stabilimento che lavorava la bachelite che fabbricava occhiali e giocattolini, un enorme cotonificio, una fabbrica famosissima per la produzione di coperte, due fornaci di cui una era collegata con la stazione delle Ferrovie statali con una ferrovia a scartamento ridotto, tre o quattro mulini, oltre una marea di artigiani.
E’ evidente che chi faceva i turni aveva mezza giornata di tempo libero e quasi tutti possedevano terreni propri, o coltivavano per le famiglie citate. Oggi sembra impossibile ma nel centro di Besozzo Sup. vi erano delle case coloniche con almeno 6/7 stalle ognuna con vacche da latte per un totale di una trentina di capi (lo stesso vi era a Besozzo inferiore). Lo scrivente andava ora da uno ora da un altro, a prendere il latte; l’emigrazione da un contadino all’altro era dovuto al fatto che quando le mucche avevano il vitello da allattare evidentemente il latte non era più disponibile in quella stalla. Ricordo e mi sembra di sentirne ancora, in certi periodi dell’anno, il ribollire dei tini, e il profumo dei vini (Carducci mi perdoni).
Sembrerebbe impossibile, ma alcuni facevano il pescivendolo: erano gli addetti delle turbine dei vari stabilimenti che usavano l’acqua del Bardello per far muovere le turbine. Infatti prima dell’entrata dell’acqua nello stabilimento vi era una griglia, con una specie di enorme rastrello che andava su e giù, per raccogliere le ramaglie che la corrente portava, e in questo modo spesso venivano catturati grossi pesci e anguille! L’acqua del fiume Bardello era limpida, ricca di pesci, (ogni 15 agosto erano chiuse le saracinesche della diga di Bardello, dove il fiume esce dal lago di Varese per permettere alle industrie di pulire i canali che adducevano l’acqua per le turbine e gli abitanti di Besozzo Inf. al mattino presto si precipitavano al “ponte” per catturare i grossi pesci che rimanevano prigionieri delle pozze d’acqua.) In quel fiume, specialmente nel canale che portava l’acqua alle turbine della cartiera, ho imparato a nuotare: quante bevute mi sono fatto giocando con gli amici, e mai ho avuto un ben che minimo disturbo intestinale! Come ho già avuto modo di scrivere, Besozzo era ricca d’acqua: esistevano numerosissimi lavatoi pubblici e in alcuni punti di Besozzo esistevano delle nicchie con delle polle d’acqua sorgiva freschissima, dove i contadini riponevano i bidoni del latte (e che nessuno toccava) dove poi erano raccolti da un mezzo dell'azienda del latte di Varese. Una sorta di frigorifero!
Nel centro di Besozzo inferiore, chiamato ponte perché vi è il ponte che collega le due sponde del Bardello, e diventato con il tempo una grossa piazza oggi chiamata “1 maggio”, il fiume faceva una piccola cascata e si sentiva il rumore dell’acqua e il profumo che ne scaturiva. Oggi il profumo che si sente è l’odore di fogna!!!!!!! Qui il fiume ha una derivazione: un canale portava l’acqua alle turbine del setificio, oggi abbattuto per far posto ad un enorme condominio, mentre un ramo dell’antico letto proseguiva il suo cammino; ebbene, in occasione della festa di Sant’Anna patrona di Besozzo Inferiore, era posizionato orizzontalmente sul canale un palo fissato al ponte, ricoperto di grasso ed era una sorta di palo della cuccagna messo in orizzontale anziché verticale. Vinceva chi riusciva ad arrivare in fondo senza finire nel canale.
Nelle adiacenze della mia casa abitava un anziano signore che si recava nelle cascine più lontane, e tornava con le uova e con della ricotta avvolta in foglie di fico che poi rivendeva; aveva due figli: uno morto, anzi disperso nella ritirata del 42/43 in Russia: nella parlata besozzese quando ci si riferisce ad un soldato morto in guerra, si dice “l’è restaa via”. L’altro figlio, scapolo, tutte le domeniche sere dopo un’approfondita visita alla locale osteria (circulin) tornando a casa sbronzo, gridava: Nenni, Togliatti per diverse volte, poi intonava “bandiera rossa”.
Abitando in un edificio addossato ad un’ala del castel Cadario, esattamente di fronte al campanile della chiesa, in casa l’uso dell’orologio era pressoché sconosciuto, perché era sufficiente guardare fuori della finestra, oppure “sono le sei è appena suonata l’Ave Maria”; d’inverno quando c’era la Nebbia (di proposito scritta con la N, maiuscola) che stendendo il braccio non si vedeva la mano, non sempre si sentivano i rintocchi, e spesso l’orario era sostituito dagli scoppi dei petardi che il casellante, del lontano casello ferroviario, poneva sui binari in modo che il passaggio del treno li faceva scoppiare, dando modo al macchinista di sapere che era in procinto di entrare in stazione, e pertanto poteva incominciare a rallentare (mi ricordo quando passavano i merci trainati dalle vaporiere, i mobili della stazione iniziavano a traballare per il piccolo terremoto che questi treni provocavano al loro passaggio). In casa si diceva: “ sono le ore…….. sta passando il treno delle…………..” . Quel tempo non vi era ancora l’inquinamento acustico e d’estate sentivo il gracidare delle rane viventi nelle lontane fornaci.
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