Raffaello Sanzio Architetto di Raffaele Ojetti
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Raffaello ad intendere quell'autore in modo da poterne confermare colla più sana critica gli insegnamenti ed anco avvertire non pochi difetti con rispetto però che la colui autorità non fosse per essere fraintesa, oltraggiata, diminuita (i). Se non che per ultimo di questo suo studio fu lo avvedersi che tanta dottrina non bastava ad avvalorargli l'animo al concepimento della più felice idea per la fabbrica che gli veniva con tanta cura raccomandata. Ed invero quale cosa vi dice, o Colleghi, sulle arcane ragioni della bellezza, quando l'occasione vi stringe ad allontanarvi dai suoi esempi? Queste ragioni più di tutto saper volea Raffaello e finì col cercarle su gli antichi monumenti che Roma aveva a dovizia, nel quale impegno poi si mantenne fin che gli durò la vita, dal quale impegno egli seppe ritrarre i belli, grandiosi e nuovi concepimenti per le sue molte fabbriche.
Bramante moriva l'undici marzo 1514. Circa i primi del mese seguente, Raffaello fu aggiunto agli altri artisti per la costruzione della Basilica con un emolumento di 25 ducati al mese, emolumento superiore di molto a quello degli altri suoi compagni e degli stessi architetti che gli successero. Il primo dell'agosto seguente fu nominato Architetto in capo. Fra Giocondo un anno dopo questa nomina moriva, e Giuliano da San Gallo si assentava da Roma dispiacente di essere soggetto a Raffaello, anziché, per i suoi precedenti incarichi, nominato maestro direttore. A Raffaello solo dunque si deve per sei anni, che tanti scorsero dalla sua nomina di architetto alla sua morte, il proseguimento dei lavori della Basilica, e dei Palazzi pontificii.
Due modelli in rilievo fece il nostro Architetto per la prosecuzione della riedificazione della Chiesa di S. Pietro, modelli che disgraziatamente non ci sono pervenuti, ma dei quali possiamo aver idea dalle piante che ci sono state fatte conoscere una dal Serlio, l'altra dalla raccolta dei disegni di Giuliano da San Gallo conservata nella biblioteca Barberini.
Il progetto che si può ricomporre sulla pianta del Serlio è certo il migliore ed i scrittori Quatremère de Quincy e Pontani, ne tessero un elogio entusiastico. Non volendo io tentare i voli d'Icaro, non seguirò i giudizi dei scrittori predetti, non vorrò farne dei nuovi molto dettagliati. Dirò
(1) Fu in questa circostanza che Raffaello per suo uso fece tradurre in italiano l'opera del Vitruvio, giovandosi della dottrina di Mario Fabio Calvi di Ravenna. Il manoscritto trovasi nella Biblioteca ^di Monaco ed ha nei margini copiose annotazioni che sono ritenute della mano stessa di Raffaello.
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